that win the best
Mi sono stufato di esaltarmi per una medaglia di legno
Sta tornando la Premier, il calcio serio, e non quella farsa del calcio olimpico. Ma intanto brindo all’idea di Arteta che fa rapinare i suoi giocatori
Ieri a Parigi è finita la farsa del calcio olimpico, oggi a Londra ricomincia il calcio serio: quello inglese. A Wembley c’è il derby di Manchester per il Community Shield, dopo che la squadra di Guardiola ha vinto la Premier League e la banda raccogliticcia di Ten Hag ha battuto proprio il City in finale di Fa Cup. Lo United è senza difensori integri, probabile che finisca in massacro in favore di Pep, ma a me non frega il risultato (sebbene vedere perdere il catalano è un bel vedere), mi frega solo di godermi il ritorno del campionato più bello del mondo, persino senza bionda, tale è la mia astinenza. Prima devo però recuperare le palle che mi sono cadute in queste due settimane di pippe ideologiche giornalistiche sulle Olimpiadi.
Ormai lo sport è un accidente utile solo a portare avanti le proprie lezioncine su diritti, razzismo, sessismo. Ci hanno provato per l’ennesima volta con Tom Daley, ma la storia del tuffatore britannico che fa la maglia sugli spalti tra un bacio al marito e una coccola ai figli surrogati è stata raccontata troppe volte per colpire ancora qualcuno. Meglio licenziare il commentatore che dice che le nuotatrici sono in ritardo perché si truccano – colpirne uno per educarne cento è il nuovo mantra progressista – e fare le solite polemiche inutili in Italia sui titoli di giornali in cui le atlete sono chiamate per nome e non per cognome (è patriarcato anche quando leggo prime pagine su Jannik, Gimbo, Greg e Marcell?).
Peggio di tutto è però quella malattia che i Giochi olimpici si portano dietro a ogni edizione: l’elogio della sconfitta portato al parossismo. Tifo Inghilterra e Sheffield United, non sono così scemo da pensare che o vinci o sei una merda, ma persino De Coubertin troverebbe eccessiva l’esaltazione delle medaglie di legno che ho letto in questi giorni, le pippe su “non sapete quanta fatica hanno fatto per essere qua, non giudicateli”, e gli immancabili “l’importante è partecipare” (per non parlare di chi ci ricorda che “c’è la persona prima dell’atleta”). L’impressione che ho è che sia tutta una partita di giro in cui i commentatori ingigantiscono quattro insulti letti sui social trasformandoli nel sentimento popolare e ci si gettino sopra per fare la sola cosa che frega di fare ai giornalisti: dare lezioni di morale. Che palle. Piuttosto brindo ad Arteta e alla sua geniale idea, raccontata da The Athletic, di portare a cena i suoi giocatori dell’Arsenal e farli derubare di nascosto da un gruppo di borseggiatori assoldati da lui stesso. Così imparate a stare sempre attenti, ha detto il manager dei Gunners. Ora però mi aspetto un articolo di Repubblica in difesa dei borseggiatori sfruttati.
Il foglio sportivo - calcio e finanza