A Parigi
Tamberi si arrende in finale. Nella notte di Gimbo non c'è spazio per i miracoli
Passato direttamente dall’ospedale alla gara, il campione uscente di salto in alto non supera i 2,27. L'azzurro ci ha provato, ma è apparso a corto di energie dopo le coliche renali che lo hanno colpito. E' stata già un'impresa presentarsi in pista
Non c’è spazio per i miracoli nella notte di Gimbo. Il cuore non basta a portarlo oltre i 2,27. Servirebbero le energie che le coliche gli hanno portato via con un accanimento che avrebbe sfiancato chiunque stendendolo a letto. Lui invece era qui. Passato direttamente dall’ospedale alla pista. Quarantacinque minuti prima della gara è entrato in campo con il cappuccio della felpa d’ordinanza griffata Armani calato sui riccioli, un trolley e uno zainetto. Sembra un fantasma tanto è trasparente. Un uomo di una magrezza impressionante. Si inchina davanti alla tribuna che lo acclama, porta la mano al cuore e poi comincia i soliti riti pre gara.
Una corsetta, un’altra corsetta, qualche saltello. Ancora senza indossare le scarpe da gara. Ogni cosa a suo tempo. Poi arriva il momento di mettere i riferimenti per la rincorsa.Gimbo non ha la faccia di uno che ha passato la notte in bianco con una lama nel corpo. Ma non ha il solito sorriso felice della vita. Sarà imbottito di antidolorifici. Si toglie cappellino e tuta, prova il primo salto a una ventina di minuti dal via. Vola sopra l’asticella. Ne prova un secondo e quando atterra sul materasso alza pure un pugnetto. Al terzo salto incoccia nell’asticella. Un brutto segno. Ormai ci siamo è il momento della presentazione ufficiale. Si rimette, la tuta, ma resta senza scarpe. Si presenta ufficialmente così, senza scarpe ma con le braccia larghe a raccogliere l’applauso. Ha ancora dei cerotti sugli avambracci, forse sono quelli delle flebo. La gara della sua vita, come l’ha definita sui social, può cominciare. L’avrebbe preparata in un altro modo negli ultimi dieci giorni… ma non è qui solo per applaudire il suo successore nell’albo d’oro olimpico.
Non entra in gioco a 2,17, aspetta i 2,22 come il suo amico avversario Barshim. Parte male, incoccia nell’asticella dopo una rincorsa senza la solita velocità. Anche il secondo salto cinque minuti dopo non gli apre le porte dei sogni. È una lunga via crucis. Due minuti dopo tocca ancora a lui e questa volta vola sopra l’asticella facendo esplodere lo Stade de France. Sono qui tutti per lui e questo terzo salto è un salto alla Tamberi, come se improvvisamente sia riuscito a lasciarsi alle spalle il dolore che suo porta dentro da quando è sotto attacco renale. Ma a 2,27 ricomincia a fate i conti con se stesso. Misure che solitamente salterebbe a occhi chiusi, diventano barriere. Per il secondo tentativo chiede allo stadio di battere il ritmo, ma la benzina del tifo, non basta a farlo risorgere. L’espressione non promette nulla dio buono. Si siede un attimo sull’erba. Poi va a parlare con i suoi allenatori in tribuna. Cerca una parola di conforto. Ma avrebbe avuto bisogno delle energie che le coliche gli stanno sottraendo da giorni. Prima del terzo salto si inginocchia, prega, fa il segno della croce. Non serve. I suoi Giochi finiscono qui.
Purtroppo era un finale scritto dagli attacchi che lo stanno tormentando da giorni. Era già stato un miracolo presentarsi in pista. Il suo cuore non è bastato. Il suo sogno si chiude con lo stadio che vorrebbe portarlo oltre quell’asticella, sognare con lui. Gimbo invece abbraccia il compagno Stefano Sottile che va avanti anche per lui, poi corre sotto la tribuna con i suoi tifosi, non riesce a trattenere le lacrime mentre il fratello e gli amici corrono ad abbracciarlo. È un quasi un quadro, una pietà moderna con tutti quei ragazzi vestiti d’azzurro che abbracciano il loro mito rimasto senza sogni dopo aver preparato questa serata con tanti sacrifici.
L’abbraccio è lungo lunghissimo. È la notte di San Lorenzo, quella in cui cadono le stelle. Quella più luminosa è caduta qui mentre a Parigi deve ancora scendere il buio.