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le dichiarazioni

Tamberi: "Ho sacrificato tutto per lo sport, non me lo meritavo"

Umberto Zapelloni

"Se penso a che cosa mi è successo scoppio a piangere e non la smetto più”, ha detto Gimbo dopo la finale di salto in alto. E' sceso in pista nonostante le coliche renali degli ultimi giorni. "Non ho rimproveri da farmi. Avevo fatto tutto bene per arrivare pronto a questo appuntamento". Il futuro adesso è un'incognita

“Se penso a che cosa mi è successo scoppio a piangere e non la smetto più”. Gimbo Tamberi è abituato a mettersi in piazza. Non è uno che si nasconde. Nella gioia e nel dolore lui si racconta attraverso i social anche dai letti d’ospedale che ha frequentato con una certa assiduità in questi ultimi giorni. Aveva un sogno, una serie di coliche, glielo ha portato via proprio mentre stava arrivando l’ora di quella che aveva chiamato la gara della sua vita. Una serata per cui aveva sacrificato tre anni di vita. Aveva riempito di piccole Torri Eiffel la casa. Lui e la moglie Chiara avevano messo Parigi e una nuova medaglia olimpica davanti a tutti.

E invece la giornata da sogno è diventata un incubo: “Alle 5.30, quando mi sono svegliato ero onestamente convinto fosse un incubo. Finché non ho realizzato che quell'incubo era realtà e che stava tornando quella stessa colica renale che avevo avuto una settimana fa. Sembrava incredibile perché stavo benissimo. Avevo superato la febbre, avevo superato il dolore. Dicevo dai, non è successo nulla. Domenica, lunedì e martedì sono stato poco bene. Avrebbe indubbiamente condizionato la qualificazione ma per la finale avrei avuto tutto il tempo per riprendermi…”. Ma non era un incubo: “Stesso identico dolore, stesso punto. Non potevo crederci. Ho cercato di rimanere tranquillo, per quanto chi ha provato colica renale sa di cosa sto parlando, sudavo freddo, ho cambiato tre magliette nel giro di due minuti per quanto stavo sudando dal dolore. Ho cercato di rimanere tranquillo. Perché sapevo che avrei dovuto gareggiare la sera. Data l’esperienza di domenica sapevo che nel giro di un'ora e mezza - due sarebbe passata. Almeno così era andata la volta precedente. Invece mi sono trovato dieci ore dopo ancora con lo stesso identico dolore. Ancora con queste fitte lancinanti che ti senti perforare dentro. Ho rimesso due volte. Entrambe le volte ho rimesso sangue. È stata devastante. Non riuscivo a muovermi dal letto. Continuavo a pensare imperterrito a questa sera, se sarei stato in grado di gareggiare, a quando sarebbe passato quel dolore. Poi una volta che passa, passa. Quando anche domenica scorsa se n'è andato dopo due ore, senti un fastidio ma non ti senti limitato. Mentre quando hai quel dolore, non riesci a muoverti dal letto”.

È già stato tanto vederlo in pedana: “Quello che ho fatto è che quando mi hanno portato in ospedale in ambulanza verso le 2.30-3 ho avuto l'ultima fitta grossa alle 15.30. Ho fatto tutti gli accertamenti in ospedale e mi hanno detto, perché la situazione era grave visto che stavo rimettendo sangue, c'era emorragia interna dovuta ai tanti farmaci che ho dovuto prendere per questo problema che ho avuto negli ultimi giorni. Per via della febbre, per via del dolore. Non era la situazione ideale per gareggiare. Mi hanno detto: non succede nulla di grave, noi non te lo consigliamo. Perché ti consigliamo di riposarti. Ma non succede nulla di grave. Sapendo cosa significa per un atleta, puoi provare ad andare in pedana. Ma si è evitato qualsiasi tipo di infiammatorio o antidolorifico. Ho sperato che non tornasse il dolore. Ammetto che non è tornato. Non ho avuto più fastidio dalle 15.30”. A quel punto ha ricominciato a sognare: “Quando mi hanno detto che sarei potuto scendere in pedana ho avuto una grande scossa di adrenalina, una carica enorme. Ho cercato di dire a me stesso: dimentica come sono stati gli ultimi giorni, puoi farcela ancora. Hai ancora l'ultima chance che hai sempre detto di volere inseguire fino alla fine. Nel vero senso della parola. Come a Tokyo dopo l'infortunio. Crederci fino all'ultimo secondo. Ho continuato a crederci anche grazie all'immenso sostegno che ho ricevuto da tutti gli italiani. E l'affetto ricevuto. Lo stadio? Era tutto per me. Le persone nei social per messaggio mi sono stati vicinissimo. Tutti. Quindi non posso che ringraziare tutti quanti. Ho sentito quella carica di poter fare tutto ciò che è impossibile grazie a quello mi stava girando intorno, grazie all'affetto. Sembrava quasi un'opportunità questo dolore, per assurdo, per fare qualcosa di incredibile. Sarà una mentalità per cercare di non guardare quello stava succedendo in faccia e riprovarci fino alla fine”.

Non ha risposte sul futuro. A 30 anni non sa se il fisico reggerà ancora a questi ritmi, questi sacrifici. Per poi arrivare a Los Angeles e magari avere un’altra sorpresa. Non è il giorno per pensarci. È solo il giorno per le lacrime. “Per una volta non ho rimproveri da farmi. Avevo fatto tutto bene per arrivare pronto a questo appuntamento. Non me lo meritavo, per lo sport ho sacrificato tutto e con me anche Chiara che ha capito come questo fosse un obiettivo per la famiglia”.

Ovviamente c’è chi lo critica. Chi lo attacca per aver messo tutto in piazza sui social. Gimbo non si sottrae e risponde: “Mi sono sentito ricevere una quantità incredibile di messaggi a cui non riuscivo ovviamente a rispondere a uno a uno. Mi sono sentito come minimo di dover rispondere alle persone che mi vogliono bene. E che mi sostengono. Che non sono per forza solo la famiglia e gli amici. Per correttezza mi sentivo di comunicare come stava andando. Ovviamente non ho comunicato ora dopo ora quello che succedeva, ma le cose grandi. Quello che poteva svoltare in un senso o nell'altro la mia situazione. Mi è sembrato il minimo da fare. E vi garantisco che l'ultima cosa che avrei voluto fare era pensare di mettermi a scrivere dei post social. Ho sentito doveroso nei confronti di chi mi è stato vicino e sono state veramente tante e le ringrazio”. Gimbo è fatto così. O lo amate e non lo sopportate. Fate come volete, lui tanto non cambierà.

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