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Il vuoto dopo l'Oro: cosa resta agli atleti dopo il sogno olimpico

Giorgio Burreddu

Dietro la gloria dei Giochi può nascondersi un abisso emotivo che colpisce molti campioni. Da Jury Chechi a Simone Biles, il blues post-olimpico è una realtà che pochi conoscono, ma che segna profondamente la vita degli atleti dopo il trionfo

Che buco lascia un’ossessione che ti ha riempito la vita per anni? Che cosa viene dopo l’esplosione di gioia più grande, dopo quella frustata di adrenalina, dopo l’emozione che le batte tutte, vincere un oro olimpico? "Lo devi sapere che niente sarà più così. Però lo devi accettare, altrimenti sarai per sempre infelice", ha confessato Jury Chechi, oro ad Atlanta negli anelli. Per Gabriella Dorio, campionessa olimpica nei 1500 a Los Angeles, quel senso di vuoto è arrivato mentre tagliava il traguardo. "Se le immagini non fossero prese da dietro, vedreste la mia espressione che cambia. Una frazione di secondo, forse meno. Avevo raggiunto il successo più alto, ma la mia faccia diceva un’altra cosa. E adesso cosa faccio? Il sogno, quello che ti permette di andare avanti giorno dopo giorno, lo avevo raggiunto. Me lo ricordo benissimo quell’attimo di panico".

In America lo chiamano blues post-olimpico. Blues, tristezza. Un’esperienza che hanno provato in tanti, da Michael Phelps, l'olimpionico più vincente con 28 medaglie, a Simone Biles con le sue 7 medaglie, fino a Allison Schmitt e Adam Peaty, rispettivamente 10 e 5 medaglie in piscina. Loro lo hanno ammesso.

È impossibile dire con precisione quanti atleti sperimentino questo down post-olimpico. Negli Stati Uniti stanno facendo delle ricerche accademiche, ma non tutti gli atleti sono disposti a parlare delle proprie emozioni negative. La psicologa Karen Howells dice di non poter fare un bilancio preciso, ma "non ho ancora incontrato un olimpionico che non abbia sperimentato la depressione post-olimpica". Uno studio del 2023 su 49 olimpionici danesi ha rilevato che il 27 per cento aveva un benessere inferiore alla media o una depressione da moderata a grave. Ci sono sintomi tipici. "Erano socievoli ed estroversi e ora non lo sono più. Cominciano a mangiare e a dormire un po’ meno. E si isolano socialmente. È un segnale comune per gli atleti d'élite: non rispondono a whatsapp, e-mail e chiamate. Improvvisamente tutti li riconoscono, li vogliono, li invitano, e loro non si sentono più l'energia mentale necessaria per parlarne con tutti”.

Tra i rifugi possibili la dipendenza dall'alcol e il sovrallenamento: tutti comportamenti distruttivi che l’atleta metta in atto cercando di colmare il vuoto. Cody Commander, responsabile della salute mentale del team Usa per le Olimpiadi di Tokyo, lo spiega come un crollo emotivo. "Una volta arrivati lì, è normale chiedersi: e ora? Si trovano all’improvviso senza programmi e senza spettatori e non sanno cosa fare. Gli atleti d'élite sono abituati ad avere ogni minuto pianificato ogni giorno per anni. Quando non c'è un piano, la sensazione è di sentirsi persi. Dopo anni di allenamenti, l’improvvisa differenza è difficile da accettare: la libertà sembra quasi imbarazzante".

Al disagio si aggiungono rabbia, frustrazione, irritazione: sentimenti del tutto normali dopo il picco di adrenalina sul palcoscenico più importante del mondo. Gli Stati Uniti hanno una squadra di 15 esperti che si concentrano sulla salute e sulle prestazioni mentali e che si incontrano regolarmente con i colleghi di Canada, Gran Bretagna, Australia, Danimarca e Paesi Bassi. La Gran Bretagna si è concentrata sulla decompressione delle prestazioni, in più fasi. Un’esperienza mutuata da quella dei soldati di ritorno da missioni di guerra. In alcune aree dell'esercito, prima del ritorno a casa, è prevista una sosta in cui le persone vengono supportate per dare un senso alla loro esperienza. Parlarne, comprendere e riconoscere le emozioni che potrebbero essere emerse è importante prima di tuffarsi direttamente nella vecchia vita.

Domenica sera, Julio Velasco è riuscito a riconoscere la tristezza tra i sentimenti che ha provato dopo il primo oro olimpico della sua vita, a 72 anni. "Nella pallavolo ora non mi manca niente. E nella vita? Vorrei rinascere di nuovo". Domenico Fioravanti, che a Sydney 2000 fu il primo italiano a vincere un oro olimpico nel nuoto, ha detto che è il primo problema dello sport. "Nessuno ti prepara al dopo. Non sai che è tutto molto breve, non sai che non ne avrai tante di giornate più belle della tua vita da goderti". O forse lo sai, lo intuisci, e per questo non te ne fai una ragione.

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