Fulvio Collovati - foto Ansa

Il Foglio sportivo

Fulvio Collovati: "L'addio ai raccattapalle è ridicolo"

Francesco Gottardi

"Stanno facendo sparire il calcio dei sentimenti. E vanno contro i giovani. Non c’è più la spensieratezza di entrare in uno stadio pieno e fare la propria parte senza pressioni addosso", dice l'ex campione del mondo

Viene meno la magia. “Di più. Pian piano stanno facendo scomparire il calcio dei sentimenti”, sospira Fulvio Collovati. Ex campione del mondo, baluardo storico di Milan e Inter. Ma anche ex raccattapalle, prima di diventare tutto il resto. Un ruolo che a partire dal campionato di Serie A che parte oggi non ci sarà più: al suo posto dei freddi conetti a bordocampo, da dove i giocatori potranno prendere il pallone senza passare per mani terze. O per flussi e sogni altrui. “Mi ricordo ancora la mia ‘prima a San Siro’, posizionato dietro la porta. All’epoca ero nel vivaio rossonero: un giorno mi dissero ‘Tocca a te’. Emozioni che soltanto un ragazzino di 11 anni può provare. Fino a oggi, a quanto sembra”.
 

L’ex difensore rievoca i dettagli di un tempo. “Gli 80 mila sugli spalti, i protagonisti in campo. Si giocava Milan-Juve: ho in mente alla perfezione il portiere Cudicini, Bettega che colpisce di tacco, la palla che rotola lentamente verso la rete e… quasi quasi mi veniva voglia di toglierla dal palo. Ma fu un gran gol”. È anche per questo che il disegnatore arbitrale Gianluca Rocchi ha giustificato l’abolizione dei raccattapalle: evitare i furbetti “e le perdite di tempo strategiche”. Collovati sorride, risponde per le rime. “Un conto è l’istinto, un conto l’azione. Altro che trucchi: la prima cosa che sapevamo di dover fare era prendere il pallone e darlo via. Punto. Nessuno ci diceva di favorire la formazione di casa. Nessuno voleva sbagliare. Era un compito che prendevamo molto seriamente. Si andava a turno, la domenica mattina c’era il raduno: il responsabile del settore giovanile ci assegnava ruoli e disposizioni. ‘Tu dietro la porta, tu dietro la panchina’. Eccetera. Non avevi un contatto vero e proprio coi calciatori grandi. Ma li potevi ammirare da vicino. Gianni Rivera era il mio idolo e finì per diventare mio compagno di squadra. E tornando a Bettega: un giorno l’avrei marcato io”.
 

Brividi sempre. Mica una questione generazionale. Il calcio va veloce, si evolve, “ma certi momenti un bambino se li porta dentro per tutta la vita” – anche Claudio Marchisio, qualche decennio dopo, fece lo stesso percorso e via Instagram si unisce all’appello di Collovati: “Speriamo che ci ripensino”. Per non parlare della maggioranza silenziosa: quei raccattapalle che osservano, rincorrono, fantasticano, per poi crescere lontano dal pallone. Fulvio e pochi altri invece ce l’hanno fatta. Com’è possibile che un pilastro dell’Italia di Bearzot, quasi 600 presenze da professionista, metta in prima linea quei frammenti d’infanzia? “Oggi ho 67 anni e ribadisco: sono forse tra i più puri che ho. Quando si passa al professionismo subentra la dimensione lavorativa, la logica del risultato. Non c’è più la spensieratezza di entrare in uno stadio pieno e fare la propria parte senza pressioni addosso. Talvolta la si rimpiange. E ora quei ricordi indelebili li vogliono togliere, impedire ai prossimi?”.
 

Collovati non comprende la ratio del provvedimento. “Se nel corso degli anni qualche raccattapalle ha creato problemi, si è trattato di casi isolati o involontari”. Per evitare le perdite di tempo meglio ragionare sul tempo di gioco effettivo. “Casomai sì. Ma in un calcio in cui le partite finiscono al 109’, davvero andiamo a guardare i 10 secondi imputabili ai raccattapalle? Ridicolo. È un passo sbagliato, disattento ai vivai e all’aspetto emotivo dello sport. Il problema di fondo è che si interviene dove non si dovrebbe. E viceversa: la tutela dei settori giovanili, del numero di italiani in campo, di un intero movimento in difficoltà. Si predica bene e si razzola male. Non ci qualifichiamo per due Mondiali di fila, agli Europei facciamo ridere. Va bene, prendiamocela coi raccattapalle”.
 

Tra le tante ombre dell’Italia di Spalletti, s’era detto dell’assoluta incapacità di trasmettere emozioni. “Se poi ai ragazzini togliamo anche questa, stiamo freschi”, avverte Collovati. “Assaporare la domenica a San Siro era una delle poche gioie che si poteva ancora dare agli iscritti dei settori giovanili: fosse per me tornerei anche alle loro amichevoli in loco, appena prima della partita. Una volta si faceva”. Altro calcio, altri usi. Niente più neanche San Siro: vorrebbe essere una battuta, ma il futuro dello stadio Meazza – per quanto Milan, Inter e Comune di Milano stiano aumentando gli sforzi – non è ancora al sicuro. “La svolta sui raccattapalle copiata dalla Premier? Dovremmo ispirarci all’estero per le cose che contano: Wembley è stato ristrutturato per la Nazionale. Il Real Madrid, pur di continuare a giocare al Bernabeu, si è adattato all’impianto di allenamento. In Italia invece la storia viene dismessa. Non si guarda alla bellezza, ma al rancore. E in questo clima a rimetterci sono i più fragili”. Acquattati dietro la porta, in beffarda attesa. Da domani i campioni sorrideranno a un cono di plastica. Contenti voi.

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