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Liga

Muriqi non è più il Muriqi della Lazio

Marco Gaetani

Ci si attendeva Mbappé e invece in Mallorca-Real Madrid il proscenio se lo è preso l'ex centravanti che in biancoceleste aveva dato il peggio di sé, non scaricando la responsabilità su nessuno

“Se non stessimo vivendo in un periodo di pandemia, non avremmo potuto prendere Muriqi a questa cifra. Forse non avremmo potuto proprio farlo”, spiegava Igli Tare, all’epoca direttore sportivo della Lazio, nell’ottobre del 2020. Era fiero di aver portato in biancoceleste Vedat Muriqi, centravanti vecchio stampo, in teoria il profilo che mancava nell’attacco di Simone Inzaghi: c’erano un Immobile ancora incontenibile, la verve di Correa, un Caicedo sempre pronto all’uso nei minuti finali. Muriqi doveva essere l’uomo in più, un nove fisico, forte di testa, da utilizzare come alternativa tattica, teoricamente letale sotto porta dopo due ottime stagioni in Turchia. Il passaggio in Italia del “Pirata”, però, è stato dimenticabile: tanti spezzoni poco ispirati, la miseria di due gol in un anno e mezzo, la cessione al Mallorca.

Nel cuore delle Baleari, come d’incanto, Muriqi si è tolto di dosso tutti i problemi: in Italia sembrava fare fatica persino a stoppare un pallone, oggi accendi la tv aspettandoti il primo gol di Mbappé nella Liga e invece scopri che il protagonista della sfida contro il Real è lui, capocciata tonante su angolo di Dani Rodriguez e i campioni d’Europa che tornano a Madrid con un misero pareggio. Ha visto e vissuto di tutto, Muriqi. La guerra in Kosovo, i soldati che entrano in casa e costringono la famiglia a scappare: “Meglio se uscite, stiamo per bombardare qui”. Quindi la vita disperata in Albania, “vivevamo in cinquanta in due stanze”: i vestiti sporchi di sangue, la fame, pane e latte a tamponare i crampi su gentile concessione dei soldati. Lo zio che gli suggeriva di smettere di giocare a calcio perché quello non poteva essere il suo futuro, meglio andare a lavorare: nel curriculum ci sono anche gli anni trascorsi a servire ai tavoli di un ristorante, senza mai dimenticare il pallone, però. Alla Lazio ha fallito sia con Inzaghi, sia con Sarri. Ma non ha scaricato le colpe sugli altri, ha ammesso le proprie: la famiglia rimasta in Turchia con la moglie incinta, l’incapacità improvvisa di trovare la porta, quello che era stato il suo mestiere per tutta la vita. “Non c’era verso, non andavo”.

La nuova realtà ha certamente inciso nella rinascita, così come un cambio di prospettiva. Un lungo lavoro con un preparatore personale, la necessità di mettere a posto non solo le gambe ma anche la testa: “Il Mallorca aveva bisogno dei miei gol, non mi aspettavo di diventare un idolo ma ho sentito subito un grande affetto intorno a me. Questa società mi ha consentito di sopravvivere, di continuare a esistere come calciatore”, ha detto in una recente intervista a Marca in cui ha toccato anche temi politici, come i dubbi che lo assalivano prima di accettare Mallorca visto che la Spagna, all’epoca, era uno dei pochi paesi dell’Ue a non riconoscere il Kosovo come nazione. Cinque gol nella metà di stagione tra gennaio e giugno 2022, quindici nel 2022-23, soltanto sei, complice un infortunio che lo ha tenuto a lungo ai box, in quella appena conclusa. Ma il “Pirata” stavolta non si è perso d’animo, si è rimesso fisicamente a posto e ha rovinato la prima di campionato a Carlo Ancelotti. “Quando lo vedi cambi marciapiede, è come un insetto brutto e strano”, disse di lui un giorno il suo allenatore, Javier Aguirre. Per uno come il Pirata, del resto, l’estetica è un fatto secondario.

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