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l'editoriale del direttore

Tennis garantista: viva l'indagine su Sinner senza fango preventivo

Claudio Cerasa

C’è una buona notizia nel caso Sinner: per una volta nessun “colpevole” senza prove, niente fughe di notizie e canea mediatica. Quel che manca al nostro stato di diritto 

C’è un dettaglio gustoso sfuggito a molti nella famosa storia dell’antidoping di Jannik Sinner. Un dettaglio che non riguarda il lato sportivo della vicenda, un dettaglio che non riguarda il lato competitivo della storia, un dettaglio che non riguarda il plotone d’esecuzione che si è schierato prima di tutto fuori dall’Italia per alimentare la cultura del sospetto sui misteriosi successi ottenuti dall’Italia negli ultimi anni. Il dettaglio che ci ha colpito non riguarda tutto questo, ma riguarda un elemento che ha a che fare con un passaggio giudiziario a cui l’Italia non è esattamente abituata: considerare innocente fino a prova contraria una persona sospettata di aver commesso un illecito, dare notizia dell’indagine solo al termine di un’istruttoria in cui le parti si sono confrontate, tenere la notizia dell’indagine segreta fino all’ultimo momento possibile, non condannare nessuno se la sua colpevolezza non è riconosciuta oltre ogni ragionevole dubbio.

Si discuterà a lungo se a Sinner sia stato o no concesso un trattamento di favore. Si discuterà a lungo se Sinner abbia fatto bene o no ad accettare una sanzione nonostante la sua non colpevolezza sia stata riconosciuta anche dall’antidoping. Ma di fronte a come si è svolta l’indagine dell’antidoping, di fronte al segreto istruttorio tenuto riservato, di fronte al tentativo riuscito di non trasformare un’accusa grave, poi rivelatasi non vera, una verità fino a prova contraria, non si può non esultare, festeggiare e sperare, un po’ da sognatori, che un giorno possa funzionare così ovunque. La storia ormai la conoscete ed è stata sintetizzata bene sul sito Ubitennis. Jannik Sinner è stato trovato positivo ai metaboliti del Clostebol in due controlli antidoping effettuati lo scorso marzo. La sentenza del 19 agosto del Tribunale indipendente stabilisce che l’azzurro ha dimostrato che non c’era colpa o negligenza e quindi non gli è stato inflitto alcun periodo di squalifica. Nel tennis, così dicono le regole, quando un atleta viene trovato positivo a una sostanza vietata ha commesso automaticamente una violazione del programma antidoping in quanto responsabile della sostanza proibita trovata nel campione. Esiste un’eccezione, quella che ha riguardato Sinner: l’articolo 10.5 del Tennis Anti-Doping Programme, in base al quale “se un giocatore dimostra di non avere alcuna colpa o agito con negligenza per la violazione antidoping, il periodo di esclusione sarà eliminato”. Il resto lo sapete. L’antidoping ha creduto alla versione dello staff di Sinner, in base alla quale tra il 12 e il 13 di febbraio il preparatore atletico di Sinner, Umberto Ferrara, prima ha acquistato una confezione di Trofodermin, uno spray per curare le ferite che contiene Clostebol, un medicinale da banco in Italia ma una sostanza vietata dall’antidoping dai così detti paesi che si riconoscono nelle norme Wada (World Anti-Doping Agency). Pochi giorni dopo, il fisioterapista di Sinner si ferisce a un dito, il preparatore atletico di Sinner consiglia al fisioterapista di usare il Trofodermin, il fisioterapista dopo aver usato per se stesso il Trofodermin dimentica di lavarsi le mani e si occupa di curare con le proprie mani Sinner, che soffre di una dermatite ai piedi e alla schiena.  

Il giorno stesso, il 10 marzo, Sinner viene trovato positivo al Clostebol, in una quantità minuscola, stessa cosa il 18 marzo. Sinner offrirà rapidamente la sua versione dei fatti. L’Itia (International Tennis Integrity Agency) riterrà che “abbia assolto l’onere della prova in relazione all’origine della sostanza proibita”. Il 1° agosto vengono nominati i tre giudici del Tribunale indipendente dell’antidoping. Pochi giorni dopo il Tribunale gli darà ragione riconoscendo che il giocatore ha commesso due violazioni delle regole antidoping (artt. 2.1 e 2.2) ma non ha alcuna colpa o negligenza per le due violazioni, quindi qualsiasi periodo di divieto di competere sarà cancellato. La storia è questa. E’ possibile che ci saranno ricorsi. E’ possibile che qualcuno proverà a mettere i bastoni in mezzo alle ruote di Sinner. Ma è impossibile non immaginare cosa sarebbe successo in questi mesi se l’indagine contro il campione italiano fosse emersa senza la versione dell’accusato. Si sarebbe letteralmente aperta la caccia a Sinner.

Sarebbero stati sguinzagliati giornalisti di fronte a ogni farmacia di San Candido, il paese di Sinner, per cercare di trovare qualche racconto di un qualche passante desideroso di ricordare che una volta 15 anni fa Jannik entrò in una farmacia per acquistare qualcosa di sospetto. Sarebbero stati organizzati plastici di Jannik nei migliori talk-show in prima serata, per spiegare, senza presunzione di innocenza, quali sono stati gli altri “dopati” illustri prima di Sinner. Sarebbero stati sguinzagliati scomodi cronisti in tutte le vie di Montecarlo, per dimostrare quanto il capitalismo possa corrompere. Si sarebbe cercato di capire se con qualche nome straniero lì esiste o no un qualche collegamento tra la propensione a doparsi e il non essere dei veri italiani. Si sarebbe, insomma, acceso, come capita regolarmente quando i sospettati diventano immediatamente colpevoli, quando le accuse diventano automaticamente sentenze, il meccanismo tradizionale della macchina del fango, che non avrebbe avuto forse effetti sull’indagine dell’antidoping ma che avrebbe contribuito a fare quello che i cultori della gogna fanno ogni volta che un indagato finisce sulle prime pagine dei giornali senza poter offrire la sua versione dei fatti. Finirà come finirà il caso Sinner, e immaginiamo che finirà bene, ma di fronte a un’indagine condotta in segreto, senza fughe di notizie, senza spifferi ai giornalisti, senza fango preventivo varrebbe la pena chiedersi se il sogno di una giustizia equilibrata, che dà notizia di un’accusa solo quando quell’accusa è stata verificata, non possa diventare l’esempio perfetto di tutto quello che manca al nostro stato di diritto per poter fare giustizia senza che arrivi prima la macchina dello scalpo. Viva Sinner. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.