Stefano Sottile (foto LaPresse)

l'intervista

Il viaggio bellissimo a Parigi 2024 di Stefano Sottile

Giorgio Burreddu

Il saltatore azzurro ci racconta le sue Olimpiadi, il quarto posto ai Giochi e il record personale migliorato a distanza di cinque anni. “Per un atleta una giornata come quella vale una medaglia: è la ricompensa per una cosa bella che hai fatto”

Voyage sur la lune. A 2 metri e 34. Poi Stefano Sottile è ripiombato sulla terra, e pazienza. Ma si sa che certe volte conta più il viaggio della meta. L’Olimpiade di Parigi per il saltatore azzurro è stata questo, un viaggio bellissimo, un po’ assurdo perché inaspettato, e dunque straordinario. “Ho imparato a stare più cocentrato, a stare sul pezzo. Una volta dicevo: ‘Speriamo di finire’. Adesso non ho più paura di sbagliare”. Nella notte di dolore di Gimbo Tamberi è spuntato Sottile, un’acciuga coi capelli arruffati e la parlantina svelta, un po’ stralunato, simpatico, vero. E mentre il capitano azzurro sentiva andare in frantumi i suoi sogni di gloria olimpica dopo aver invocato gli dei e il pubblico, Stefano raggiungeva l’apice: quarto posto ai Giochi e record personale migliorato a distanza di cinque anni. Con in più un pizzico di rammarico, quando vedi una medaglia la vuoi prendere. Stefano ha 26 anni e l’atletica è arrivata presto. Provò il giavellotto, l’alto fu un’illuminazione. “All’inzio era un gioco, a quindici anni ho capito cosa dovevo fare veramente”. Perito meccanico, i genitori hanno un negozio di tappeti, vendono e riparano. Adesso hanno comprato una gelateria, la gestisce il fratello. “Non sono andato a lavorare perché volevo concentrarmi sul mio sport. La nostra non è una famiglia benestante. Devo dire grazie alle Fiamme Azzurre”. Sottile gareggerà nelle tappe della Diamond in Polonia, poi a Roma. Ma vale la pena capire cosa è rimasto di quei minuti nel cuore della Ville Lumière: “Le buone sensazioni, quando tiri fuori un personale, una misura con in cui in genere si va a medaglia, non puoi che essere soddisfatto. Peccato per quell’errorino a 2,31. Poteva valere una medaglia”.

Comunque andrà da Matterella anche lei.
“Per un atleta una giornata come quella vale una medaglia: è la ricompensa per una cosa bella che hai fatto”. 

Se chiude gli occhi cosa sente?
“Niente, il vuoto. Ero dentro una bolla. Mi hanno detto che quando ho saltato 2,34 tutto lo stadio si è alzato, urlavano tutti. Io non ho sentito nulla. Ero in trance. Essere concentrati è anche questo”.

E cosa vede?
“L’asticella che a 2,31 cade, non sta su, e dico aaarg, perché, stai su. Peccato. E poi vedo il 2,36: lo posso fare. E vedo anche lo stadio, bellissimo, con tutta quella gente, il colore viola atomico della pista”.

Cosa le ha detto Tamberi?
“Mi ha fatto i complimenti, mi ha detto bravo. Mi dispiaceva per quello che stava succedendo, per la sua situazione. Ma per il resto non ci siamo detti molto”.

Che senso ha fare salto in alto in Italia nell’era Gimbo?
“Eh, non è facile. È stato un po’ un cattivone, diciamo così. Ha alzato il livello in modo assurdo, esuberante. Uno che fa 2,34 sembra che faccia poco. Gimbo ha insegnato cose a tutti, ha fatto capire che cos’è il salto in alto. Per batterlo uno deve fare 2,40, un centimetro in più del record. Cioè: 2,40, avete capito di cosa si parla? Lo hanno fatto poche persone nella storia”.

A lei cosa ha insegnato?
“È il mio idolo insieme a Mutaz Barshim. Prima di Tokyo mi disse: “Ma perché salti 2,32? Fai 2,33 così vai alle Olimpiadi”. Era il 2019, ci ho pensato. Aveva ragione lui. Posso dire che Gimbo è una persona incredibile, l’ho sempre considerato un amico. Ci siamo conosciuti nel 2015 e ci siamo presi in simpatia”.

Lei si è fatto un’idea di quello che gli è capitato? Si è detto di tutto.
“È difficile. Leggi tante cose, magari a qualcuno è venuto in mente che sia matto. Ma non è così. Tamberi sa quello che fa, lo fa da una vita, e non va a sbagliare quando arriva la gara più importante della sua carriera. E comunque certe cose io non le so”.

Lei quanto pesa?
“Peso 67-68 chili nel periodo della gara. Gimbo ne pesa 75 chili quando è all’apice della forma. È alto 8, 9 centimetri più di me e quandi è normale che pesi un po’ di più. Quando gareggiamo siamo sotto peso, è normale”.

Più si è magri e più si sale, è così?
“Tendenzialmente a parità di forza muscolare meno pesi e più salti. Nella velocità hanno bisogno di massa per correre. Ce li vedete i saltatori con tutti quei muscoli?”.

Non bisogna bere acqua?
“Mentre ti alleni bevi anche un litro d’acqua. Sudi e sudi, devi bere. Ultimamente ho bevuto più di quello che faccio solitamente. E sono andato da un nutrizionista, mangio carboidrati a pranzo e a cena, e poi una proteina. L’unica cosa che ho cambiato è la colazione. Mi facevo il cappuccino in casa con il latte normale. Sono passato allo scremato. E con lo zucchero. Non è quello che ti cambia il peso”.

Che sport è il suo, da pazzi che saltano sulla luna?
“È uno sport strano, traumatico, uno sport in cui stacchi con una certa velocità e un certo impatto. Scarichi anche seicento, settecento chili in base alla velocità. Caviglia storta, ginocchio che si gira. Il rischio infortunio c’è sempre. È super asimmetrico. Ma la pazzia no, quella ti serve quando fai salto con l’asta. Devi avere adrenalina. È una figata, ti sembra di fare uno sport estremo”.

E lei ce l’ha?
“Quando non ti sale quella non ti schiodi. Di solito non sono uno che sta sul pezzo dall’inizio alla fine, in allenamento mi deconcentro facilmente. A Parigi non è stato così. Ho avuto dieci minuti tra un salto e l’altro in cui mi sentivo le gambe vuote e pesanti allo stesso tempo, una sensazione strana. Quando ti cala la tensione nervosa capisci che non sei sul pezzo”.

Ci lavorerà sopra?
“Sicuramente. Lo farò da autodidatta, diciamo. Dovrò provare a ricostruire le sensazioni di Parigi e metterle in pratica. Per dire: a Roma, agli Europei, da 2,22 a 2,26 è passata quasi mezzora. È inevitabile perdere la concentrazione. Ma devo lavorarci su”.

Ha capito chi è il più forte del mondo?
“A quanto pare Kerr, il neozelandese. Non è stato così inaspettato. Mi ha stupito un po’ il salto di McEwen a 2,36. Ma Kerr ha fatto vedere che è l’uomo da battere. Almeno per ora”.

Dove pensa di poter arrivare?
“No, non funziona così il salto in alto. Conta veramente solo quello che fai. Ogni salto è a sé. E uno vale quello che ha fatto. Potevo fare 2,36? Sì, ma uno finché non lo hai saltato non può esserne certo”.

Da Parigi cosa si è portato via?
“Tante certezze. E una copertina con su scritto Parigi 2024”.

Ma non faceva caldo?
“È un trapuntino. Io non sono stato così male nel villaggio olimpico”.

Ah, controcorrente.
“I primi giorni non c’ero, quindi non so dire. Ho letto le notizie e allora mi sono portato dietro simmenthal, carne secca e altro. In realtà ho sempre mangiato”.

Pensa già a Los Angeles 2028?
“No, so che devo lavorare ancora tanto. Adesso voglio finire al meglio la stagione. Con il tempo ci penserò. Non ho la testa adesso. Dicono che l’Olimpiade si prepara in quattro anni. Sì, ma le gare che ti portano lì contano. È un bel viaggio, bisogna goderselo”.

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