Gregorio Paltrinieri - foto Ansa

Il Foglio sportivo

Non serve essere arroganti per diventare campioni

Umberto Zapelloni

Quanti esempi ai Giochi. Da Tamberi a Paltrinieri fino alla Biles. Gli avversari si possono anche onorare

Si può vincere anche sorridendo. Si può vincere anche senza ridicolizzare l’avversario. Insomma si può essere campioni anche senza essere necessariamente stronzi. Stiamo attraversando un’epoca in cui nello sport il campione insegue altro oltre la medaglia. Vuole lasciare un segno anche per la persona che è oltre per il risultato che ha raggiunto. Gregorio Paltrinieri ne è l’esempio più chiaro, ma non è l’unico. E chi sbrocca e sbotta, adesso chiede scusa. Come Carlos Alcaraz dopo aver violentato una povera racchetta o come Antonio Conte dopo aver attraversato uno dei peggiori esordi della sua carriera di allenatore. C’era una volta chi mangiava l’arbitro, lo ricopriva di insulti e poi se la prendeva pure con l’avversario. Battaglie che cominciavano in campo (in pista o sul ring) e poi finivano sui giornali con dichiarazioni pesantissime. Avete presenta Ali e Foreman o più semplicemente Senna e Prost. The Rumble in the jungle continuerebbe a ispirare Norman Mailer, ma oggi forse provocherebbe anche reazioni meno letterarie.
 

“Negli ultimi dieci anni – ha scritto Brad Stulberg sul New York Times – ho allenato e fornito consulenza a molti grandi talenti, ho studiato la performance e scritto innumerevoli articoli e saggi sull’argomento. Negli ultimi tempi, ho notato un cambiamento nel modo in cui gli artisti d’élite di tutti i tipi – nello sport, nella scienza, nelle arti – lottano per il successo: sempre più persone si rendono conto che non è necessario essere stronzi per essere fantastici. È un dato di fatto, essere stronzi è associato agli imbrogli e al burnout. Questo cambiamento è stato del tutto evidente all’ultima Olimpiade. Ci ha offerto lezioni importanti che dovremmo portare avanti”.  Brad Stulberg è un esperto dell’argomento. Ne scrive, ne parla e ha fondato la newsletter The Growth Equation, l’equazione della crescita, dove spiega come raggiungere il successo nutrendo e non distruggendo la propria anima. E quindi rispettando l’avversario appena battuto o esaltando l’avversario a cui ti sei appena piegato.
 

Il rispetto dell’avversario prima di ogni cosa. Quello che andrebbe insegnato in ogni scuola, soprattutto in quelle sportive dove senti genitori gridare ai figli “spezzagli una gamba”, “buttalo fuori pista”. Se rispetti l’avversario uscirai dal campo uomo o donna migliore sia che tu abbia vinto o che tu abbia perso. Non è necessario arrivare a dividersi una medaglia d’oro come fecero Tamberi e Barshim a Tokyo, ma ci si può limitare a fare come Gimbo a Parigi quando si è preoccupato per il crampo che rischiava di azzoppare l’amico, più che delle sue coliche renali. Sempre dalla pedana dei salti, ma da quella dell’asta, abbiamo avuto un altro esempio con gli avversari di Mondo Duplantis a fargli la claque mentre lui inseguiva il nuovo primato del mondo, incitando la folla a battergli il tempo. Loro si erano arresi a misure umane, ma volevano assistere all’impresa, al nuovo record del mondo, esserci in una serata speciale e così anche un super sportivo lascia perdere il suo ego per aiutare il fuoriclasse a superarsi.
 

Una delle scene più belle dei giochi di Parigi è quella arrivata dal podio della ginnastica artistica dove Simone Biles e Jordan Chiles si sono inchinate alla brasiliana Rebeca Andrade che le aveva battute e stava salendo sul gradino più alto del podio in mezzo a loro. Un gesto che ha sorpreso prima di tutti proprio Rebeca. “L’inchino? – ha spiegato la Biles in conferenza – È stato un successo così incredibile, è la regina. Prima di tutto era un podio tutto nero alle Olimpiadi e quindi è stato super emozionante per noi. Poi Jordan mi ha detto ‘forse dovremmo inchinarci di fronte a lei'. Le ho risposto ‘sì, assolutamente'. Quindi abbiamo deciso di farlo, ed è stato così emozionante poi il rivedersi. C’erano tutti i suoi fan tra la folla che applaudivano. Quindi sì, è stata la cosa giusta da fare. È la regina, è così brava". La miglior ginnasta di tutti i tempi si era inchinata davanti a chi l’aveva battuta e lo aveva fatto con lo stesso sorriso con cui qualche giorno prima aveva indossato le sue medaglie d’oro. Non serve arrabbiarsi se perdi. Non serve ridicolizzare l’avversario se vinci. In piscina dopo essersi combattute negli 800 stile libero la prima cosa che hanno fatto Katie Ledecky e Ariarne Titmus è stata quella di abbracciarsi. “Un avversario così grande tira fuori il nostro meglio” è il commento di Biles e Ledecky. Lo stesso che potrebbero dire Ganna ed Evenepoel, ma anche Bagnaia e Martin o Marquez, o Sinner e Djokovic o Alcaraz. “L’eccellenza significa impegnarsi al meglio e trovare soddisfazione nell’inseguirla. Quando trovi un’attività o un’occupazione che ti interessa e ci metti tutto te stesso, impari a dare valore alla concentrazione, alla coerenza, alla cura, alla disciplina e alla compassione. Impari l’importanza del duro lavoro e del riposo, sì, ma anche come accettare gentilmente la sconfitta e imparare da essa”, scrive ancora Stulberg.
 

Certo poi c’è ancora Stephen Curry che dopo aver infilato quattro triple di fila, assicurando l’oro al Dream Team, fa agli avversari e al pubblico il gesto della buona notte, una cosa che gli è capitato di fare spesso in carriera dopo aver chiuso una partita. Aveva preparato anche una felpa con tanto di Torre Eiffel e la scritta “Nuit Nuit”. Ma ormai quello di Curry è uno dei gesti più imitati sui campi di tutto il mondo. Un “Vi ho purgato ancora” decisamente meno romano. Mancanza di rispetto? Ma no dai non lasciamoci travolgere dal buonismo. Ogni tanto anche uno sfottò può strappare un sorriso.  “… devi essere motivato e feroce e a volte impegnarti così tanto che la gente potrebbe pensare che sei pazzo. Ma è proprio grazie a questo impegno, a questa determinazione, e al riconoscimento di quanto possa essere difficile, che uno sportivo riesce a essere empatico e a farsi rispettare anche dagli avversari”, aggiunge il New York Times. Rispetto e sorrisi. A meno che tu non sia Curry…

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