Sven-Göran Eriksson (oto Ap, via LaPresse)

1948-2024

È morto Sven-Göran Eriksson

Giovanni Battistuzzi

A gennaio l'ex allenatore svedese aveva annunciato di avere un tumore in fase terminale. Oggi l'addio. In mezzo una lunga peregrinazione negli stadi dove ha allenato. Gli ultimi applausi a un tecnico a cui tutti i tifosi hanno voluto bene

La sintesi del passaggio di Sven-Göran Eriksson nel calcio, o almeno in quello italiano, la diede, suo malgrado, l’attore Angelo Bernabucci a una radio romana il 15 maggio del 2000, il giorno dopo la vittoria del secondo scudetto nella storia della Lazio. “Ovvio che sto a rosica’, ma che te devo di’, che se po di’ a uno come Eriksson. Che è bravo certo, soprattutto che è un signore”. Lo svedese aveva guidato la Roma dall’estate del 1984 al maggio del 1987 i giallorossi, aveva vinto una Coppa Italia e sfiorato uno scudetto. Dieci anni dopo aveva vinto con la Lazio, senza però che la quasi totalità del tifo romanista lo avesse in antipatia. Non i soli a dire il vero. 

Lo si è visto in questi mesi di peregrinazione tra gli stadi che lo aveva applaudito quando era allenatore dopo aver dato notizia del suo stato di salute, di quel tumore non operabile che non gli avrebbe e non gli ha dato scampo. Spiegò che doveva essere solo un saluto, che non si sarebbe mai immaginato di essere chiamato per ricevere il tributo di società e tifosi. Da Marassi all’Olimpico, dal da Luz di Benfica al Gamla Ullevi di Göteborg. E allo Stora Valla di Degerfors, dove tutto era iniziato, dove la new wave del calcio svedese era apparsa per la prima volta a furia di pressing alto, squadra corta e gioco sulle fasce, all’insegna di un giocare piacevole, veloce, che dal 1977 in poi iniziò ad avere parecchi seguaci e imitatori. L'aveva chiamato pure il Liverpool. E lui si era seduto per un giorno su quella panchina che aveva sempre sognato ma che mai era stata sua.

   

Sven-Göran Eriksson a Marassi (foto LaPresse) 
      

L’esempio calcistico di Sven-Göran Eriksson è finito nel 2011. Diversi suoi ex calciatori diventati allenatori, l’hanno però portato avanti, ognuno a suo modo, ognuno aggiornandolo ovviamente come è giusto che sia.  

Qualcuno continuava a chiamarlo per chiedergli consigli. Da oggi non ne potrà più dare. Sven-Göran Eriksson è morto il 26 agosto 2024, in uno di quei lunedì che lui sosteneva essere “l’unico giorno della settimana nel quale ci si può rilassare qualche ora, perché è troppo tardi per cambiare quello che è stato e troppo presto per avere la mente lucida per capire ciò che sarà”. 

Nel documentario a lui dedicato “Sven” – uscito il 23 agosto, ma non ancora in Italia, su Amazon Prime –, Eriksson aveva salutato tutti: “Spero che mi ricorderete come un ragazzo positivo che cercava di fare tutto il possibile. Non dispiacetevi, sorridete. Grazie di tutto, allenatori, giocatori, il pubblico, è stato fantastico. Prendetevi cura di voi stessi e prendetevi cura della vostra vita. E vivetela. Ciao”. 

Lui la vita se l’è vissuta bene, disse a Genova, prima di entrare allo stadio Luigi Ferraris. Nonostante tutto, aggiunse, “nonostante a volte abbia fatto del male”. Si riferiva alla sua vita privata, alle donne che ha amato e poi trattato come non dovevano, forse, essere trattate. Anni prima, nel 2020, disse di aver sbagliato diverse cose anche con alcuni suoi giocatori, di non aver dato loro le occasioni che avrebbero meritato solo per “un mescolarsi di antipatia e invidia”. Aggiunse che “le cazzate che ho fatto, perché ne ho fatte, sono sempre state dettate da questo, dall’invidia”. 

Sven Goran Eriksson si augurava allora di essere perdonato. Probabilmente lo è stato davvero. 

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