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Fabio Pecchia a Parma ha dato dimostrazione di saper leggere bene le situazioni

Marco Gaetani

La scorsa stagione si è preso la Serie A di prepotenza, con un calcio frizzante e una squadra giovane ma non per questo sprovveduta. Sta continuando nelle prime giornate di questo campionato

Fermarsi, fare un passo indietro, ripartire. Fabio Pecchia ha deciso di interpretare in questo modo la fase più critica della sua carriera da allenatore, come quando da calciatore veniva chiamato a calciare una punizione: ha respirato profondamente, si è preso del tempo, ha riflettuto. Per tutti era diventato il protetto di Rafa Benitez, che lo aveva voluto come suo vice allenatore al Napoli e poi se l’era portato dietro, da Madrid a Newcastle. Un percorso preferenziale che lo aveva messo, nel 2016, alla guida di un Verona che andava a caccia della promozione in A, ottenuta al primo colpo. È lì che Pecchia si è scottato: una stagione senza sussulti, una retrocessione priva di qualsivoglia tentativo di ribellione. La ripartenza è cominciata dalla Serie B giapponese ed è passata per la Serie C italiana: alla guida della Juventus Under 23, giunta alla seconda stagione di esistenza dopo la fondazione del 2018, Pecchia raggiunge i playoff e vince la Coppa Italia di Serie C. Un purgatorio non banale per un allenatore che nel giro di pochi anni aveva dovuto fare i conti prima con l’etichetta del predestinato, quindi con quella del raccomandato.

Laureato in giurisprudenza e per questo ribattezzato “l’avvocato” già durante i suoi anni finali da calciatore, Pecchia in panchina ha portato una delle sue doti principali di quando era giocatore, la sua capacità di lettura delle situazioni. Dopo la fase più tormentata della sua carriera da tecnico, ha iniziato a scegliere i progetti con cura. Prima la Cremonese, raccolta a stagione in corsa nel gennaio 2021 e portata a metà classifica, programmando nel dettaglio la promozione poi agguantata nel campionato successivo; quindi, con estrema lucidità, la scelta di fare un passo indietro, di rinunciare a quel che aveva guadagnato sul campo. Pecchia che dice no alla Serie A è il segno di un modo diverso di ragionare: non il “tutto e subito”, ma la capacità di capire quando un ciclo è finito e quando c’è bisogno di dare il via a un altro progetto.

A Parma, Pecchia ha trovato una società economicamente solidissima e, merce rara nel calcio italiano, capace di aspettare. Eliminato dal Cagliari nei playoff promozione al primo anno, è rimasto in sella anche nella scorsa stagione. E in un campionato dove viene storicamente premiata una certa tendenza alla solidità, il Parma si è preso la Serie A di prepotenza, con un calcio frizzante e una squadra giovane ma non per questo sprovveduta. Più che una formazione di alta Serie B, quella ducale era parsa fin dallo scorso anno un collettivo di metà classifica di Serie A, non tanto nei nomi, quanto nei concetti, nella voglia di rischiare. Fiorentina e Milan hanno scoperto subito quanto sia affilato il mancino di Dennis Man, miglior realizzatore della scorsa stagione del Parma con 11 gol: questo perché il centravanti, Bonny, pensa più alla squadra che al proprio ruolino. In campo Bernabé e Sohm si alternano tra regia e trequarti, Mihaila fa volume anche se sotto porta spreca ancora troppo, dal mercato sono arrivati rincalzi preziosi come Almqvist e Cancellieri.

Il Parma, per ora, si diverte. Pecchia, che ha capito quanto è importante sapersi fermare, pure.

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