la nota stonata #2
Quel palo di Dybala
L'argentino ha deciso di rimanere a Roma nonostante i soldi d'Arabia e aveva dato appuntamento ai tifosi all'Olimpico. Contro l'Empoli però è andata male per la Roma
I finali lieti albergano solo nei romanzi, nella vita fanno check-out a notte fonda per non perdere l’aereo. Paulo Dybala non è salito nel volo per Khobar, la sua faccia da eterno bambino è più innocente di Macaulay Culkin: Roma-Empoli avrebbe dovuto essere la sua partita, spaccare il mondo dopo il gran rifiuto dei 75 milioni in tre anni (altro che l’epico miliardo di lire snobbato al tempo da Cristiano Lucarelli) e l’invito instagrammatico alla tifoseria. “Ci vediamo domenica!”, in casa, allo stadio Olimpico, contro un’avversaria non insormontabile: Dybala entra in campo serissimo, tra il romanticismo postmoderno della platea e sospiri da scampato pericolo. Ha addosso la maglia numero 21, sebbene le folle si scomodassero per rivendicargli una diez che non ha quasi mai indossato: era un falso nove, a Palermo, e avrebbe dovuto esserlo anche alla Juventus. Un cross per Lorenzo Pellegrini, fiore nel deserto (ops) di un primo tempo dominato dagli avversari; Paulo sta ai margini anche nell’azione più pericolosa, il doppio palo Pellegrini-Mancini, mai mettendoci piede. Si nasconde fino al 93°, sopraffatto da un match che non stava andando come disegnato: riceve la palla da Eldor Shomurodov, circondato da maglie bianche si gira in un fazzoletto per liberare il sinistro, rasoiata di frustrazione e palo pieno, senza appello. Nella novella non scritta, ma che tutta la piazza aveva in mente, il montante severo è la nota stonata, la seconda dopo una prestazione ben al di sotto delle attese. La Joya si pesta i piedi con l’altro mancino connazionale Matías Soulé, che ne vorrebbe essere il clone: ma era risaputo che l’uno dovrebbe essere il cambio dell’altro. La scena se la prendono protagonisti inattesi: il centravanti uzbeko cerca di strappare l’ennesimo prestito a una pericolante della Serie A, perché come si mangia in Italia, da nessuna parte; Tommaso Baldanzi sta dicendo che è sempre quello di Empoli, dirimpetto Lorenzo Colombo (assist e rigore decisivo) inizia sempre bene ogni torneo.
Questa è "La nota stonata", la rubrica di Enrico Veronese sul fine settimana della Serie A, che racconta ciò che rompe e turba la narrazione del bello del nostro campionato che è sempre più distante da essere il più bello del mondo
La 10, nell’altra metà campo, la indossa Jacopo Fazzini. Il passaggio dal calcio posizionale a relazionale ha contagiato anche Roberto d’Aversa, e si vede nell’undici schierato inizialmente a Roma: Fazzini e Ola Solbakken sulla stessa ipotetica linea, ovvero un centrocampista non scriteriato e una punta arretrata per l’occasione, indicano rispettivamente solo chi dovrà prodursi in appoggio e chi dovrà sacrificarsi di più, dare il 110 per cento quando le dinamiche della partita si incaricheranno di dimostrare che l’uno è un mediano con fondate velleità da trequartista, e l’altro (ex di turno, non avvelenato) invece sarebbe un attaccante. Ha senso stravolgere il senso comune e le specialità del calcio, per scoprirsi alchimisti tardivi?
Forse è il caldo eccessivo, che abbinato alle venti squadre (notoriamente eccessive) porta a giocare mentre la gente è in spiaggia; forse è il mercato, aperto oltre misura, che induce gli allenatori a vere peripezie per schierare la formazione tenendo conto delle bizze dei distratti, di quelli che tirano la corda. Non un esempio per i bambini, i quali da quest’anno legano la fascia di capitano a calciatori che subito provvedono a sistemarsela meglio attorno al braccio.
Ma le note stonate tornano a posto grazie a quelli che restano a dispetto dei santi, barcollano su tacchi che ballano, non se ne vanno da sotto i portoni. Weston McKennie, Ridgeciano Haps non erano previsti nello spartito societario, oggi si dice “non rientrano nel progetto”: ma quando il mercato è di porte chiuse e sparate altissime, stanco e senza neanche una voglia, si fa tesoro dei contratti già in rosa, da ammortizzare, e sono loro quei pazzi che si vanno a cercare.
Strano Hans Nicolussi Caviglia, o strana questa vita? Il giocatore-erudito che legge i romanzi di Thomas Mann, guarda i film di Stanley Kubrick e ascolta i brani di Francesco Guccini ci tiene ad essere chiamato con entrambi i cognomi genitoriali: “Lo abbiamo deciso in famiglia qualche anno fa, ci sembrava bello e giusto, usarne uno solo è sbagliato”. Ce lo meritiamo, uno così? È lui la nota stonata nella città d’arte, o non lo sono piuttosto tutte le altre, contromano in autostrada?
I Dybala sono ancora rari, ma fanno proseliti: Martín Zubimendi dice no al Liverpool per rimanere a vincere tra le proprie colline basche che si gettano nel mare dei tonni, Joel Pohjanpalo sceglie Venezia in Serie B e in Serie A perché è Venezia e ci può navigare in barchino. Sono milionari che hanno capito come, a questi livelli di guadagno, lo stile di vita e i luoghi da frequentare con la famiglia valgono più dei petrodollari nel deserto reale, sportivo, esistenziale. Dove il mercato chiuderà il 6 ottobre, oltre un mese dopo l’Europa: qui si parrà la loro nobilitate.