Thiago Motta - foto Ansa

Il foglio sportivo

Come Thiago Motta sta cambiando la Juventus

Marco Gaetani

Deve ancora inserire Gonzalez, Koopmeiners e... Danilo. Ma intanto rischia con i giovani. Nell'aspettare di capire che forma avrà la squadra del nuovo ct, ecco il crash test con la Roma: sarà l'alba di una nuova Juve? Tutto da verificare

Per il primo scontro ad alta tensione della sua avventura bianconera, una volta uscito dalla pancia dello Stadium, Thiago Motta alzerà lo sguardo e andrà ad abbracciare un vecchio amico. Correva l’anno 2016, Antonio Conte aveva appena ufficializzato l’elenco dei convocati azzurri per l’Europeo e sulle spalle dell’allora regista del Paris Saint-Germain si era materializzata la maglia numero 10: apriti cielo. Le legioni di imbecilli codificate da Umberto Eco avevano preso vita contro l’oltraggio della scelta e in difesa di Motta, imbracciando lo scudo, era arrivato Daniele De Rossi: “La gente che si diverte a prendere in giro Thiago dovrebbe venire a far due palleggi con lui e pulirsi la bocca, perché parliamo di uno che ha vinto tutto. Dal punto di vista tecnico, forse è l’unico che merita il 10. Tecnicamente non è inferiore ai numeri 10 del passato”. Otto anni dopo, Thiago e Daniele sono in tutt’altre faccende affaccendati, e dopo due giornate di campionato la domanda, alla vigilia di questo Juventus-Roma che arriva tutto sommato molto presto in calendario, è scontata: è soltanto calcio d’agosto o Motta ha già cambiato la Juventus, rendendola vicinissima a quella che è la sua idea di calcio?
 

A vederla oggi, viene persino difficile immaginare che forma avrà la Juve di Motta, da qui a qualche mese. Nel motore devono essere inseriti elementi pesanti, da Gonzalez a Koopmeiners, con l’incognita Danilo ancora tutta da decifrare: c’è chi giura che sia visto come un elemento marginale e chi invece è certo che sia destinato a riguadagnare il proprio spazio. Al tecnico italo-brasiliano non dispiacciono le giocate a sorpresa, molto più rispetto a quando si aggirava per il centrocampo e sapeva abbinare fosforo e fantasia, usare sciabola e fioretto. Ma il segno del suo nuovo dominio sulle dinamiche juventine è più quello che guarda a Federico Chiesa, estromesso dal progetto in barba a contratti e costi del cartellino: esterno d’attacco con pericolosa tendenza all’anarchia e per questo, forse, impossibile da inquadrare, da incasellare. Anche con Orsolini, a Bologna, c’era stata qualche incomprensione di natura tecnico-tattica e così, nella trionfale stagione della qualificazione in Champions League, condita comunque da 10 gol in A, Orso si era trovato a partire titolare solamente 19 volte in campionato. E qualcosa di simile era capitato anche ad Arnautovic, ma era il primo Motta bolognese, senza le spalle coperte e con l’austriaco che aveva segnato caterve di gol agli ordini del compianto Mihajlovic. Tutti pensavano che la sua mossa di preferirgli ora Barrow, ora Zirkzee, fosse un capriccio, un atto di vanagloria: manna dal cielo per chi bofonchia di professione. Alla fine, a Bologna, erano tutti con lui.
 

A Torino, aspettando i grandi, Motta si è messo a lavorare con quello che passava il convento, sfidando lo scetticismo a colpi di Mbangula e Savona, gettati nella mischia a costo di rischiare qualche fischio per le decisioni forti che hanno riguardato i vari esuberi. Per ora ha avuto ragione lui, con un vago senso di misticismo, raccogliendo un gol da entrambi tra Como e Verona. Ha messo Yildiz al centro del gioco e ha dato un’importanza crescente a Cambiaso, che aveva già valorizzato al primo anno di Bologna: terzino, ala, facilitatore. “Senza nulla togliere all’ultimo anno, dove abbiamo fatto bene, adesso facciamo un gioco diverso”, ha detto un sorridente Vlahovic a fine partita al Bentegodi, mostrandosi decisamente più a suo agio rispetto al passato allegriano, ben oltre la doppietta rifilata al Verona. Poi, proprio con Cambiaso al fianco, ha aggiunto: “Con il mister puoi sbagliare tutto, ma non l’atteggiamento, è da quello che viene tutto. Se ci sei con la testa, ti viene tutto meglio”.
 

Ma adesso, che Juve nascerà? L’arrivo di Koopmeiners, una sorta di versione deluxe di quel che fu Ferguson a Bologna, dirotterà Yildiz in fascia? Gonzalez partirà da destra o da sinistra? Motta, per ora, mantiene il profilo basso. Non fissa obiettivi, fa il pompiere, sa che la stagione comincerà per davvero soltanto quando inizieremo ad ascoltare la musichetta della Champions League: sarà la gestione del doppio impegno, la capacità di rispondere anche all’imprevisto, a fare la differenza tra la comodità del lavoro di Bologna e la complessità dell’incarico juventino. Thiago pare nato per fare questo, lo sembrava persino quando veniva deriso sul web per un’intervista in cui dichiarava che nel suo modo di intendere il calcio c’era il 2-7-2, sistema di gioco declinato dividendo il campo in bande verticali invece che orizzontali. Si è scottato, ha fallito, è ripartito, ha visto in faccia un esonero, ha raccolto un’eredità scomoda. Si è forgiato nelle difficoltà, mantenendo però quell’allure da grande squadra che oggi rende legittimo ogni pensiero di scudetto su questa Juventus che è ancora un cantiere aperto e, durante l’anno, dovrà vedersela con l’Inter campione d’Italia e con tutte le altre pretendenti al trono
 

Adesso, con lo sguardo rivolto alla sosta, c’è un primo crash test da superare: una Roma apparsa male in arnese ma a cui non manca la qualità dei singoli, un abbinamento decisamente più complicato dopo un avvio di campionato tutto sommato morbido, con sei gol fatti, nemmeno l’ombra di uno subito, i guanti di Di Gregorio ancora buoni per l’esposizione in negozio. Uno di questi singoli era juventino ed è stato sacrificato sull’altare del progetto del duo Motta-Giuntoli, quel Soulé che, dovendo partire, ha scelto di andare a giocare al fianco dell’idolo di sempre, Paulo Dybala, uno che dalle parti dello Stadium qualche cuore infranto l’ha lasciato. Per Thiago non sarà tempo di sentimentalismi: una pacca sulla spalla all’amico De Rossi, forse qualche altra scelta a effetto e poi parola al campo, per capire se quella che si è affacciata in Serie A è l’alba di una nuova Juve.  

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