Il Foglio sportivo
Il calcio vuole provare il tempo effettivo. La proposta di Gabriele Gravina
Si gioca sempre meno a calcio e il presidente della Federazione italiana ha scritto una lettera all'International football association board con alcune idee per migliorare il gioco: dal var a chiamata al tempo passato sul campo, ecco tutte le proposte
Il calcio alla ricerca del tempo perduto. Si gioca sempre meno ed ecco perché, qualche giorno fa, il presidente Gravina ha scritto una lettera all’Ifab (International football association board, l’ente che si occupa di sovrintendere al regolamento del calcio) dichiarandosi pronta a fare del campionato italiano il capofila per la sperimentazione di alcune varianti regolamentari che potrebbero migliorare il gioco più bello del mondo.
Fra le altre, come per esempio il Var a chiamata (che diventerebbe un po’ come i challenge della pallavolo o del football americano) e la possibilità da parte dell’arbitro di spiegare al pubblico le decisioni prese dopo l’on field review (come accade nel rugby), la più interessante è senza dubbio quella riguardante il tempo effettivo. Quest’ultimo consentirebbe al calcio di avere una durata uguale per ogni partita. Cosa che non avviene oggi dato che il tempo regolamentare è sì di novanta minuti, ma viene poi allungato da un recupero variabile a discrezione dell’arbitro. Inoltre, se valutiamo il tempo in cui mediamente la palla è in gioco in un incontro di alto livello, notiamo come questo sia abbondantemente inferiore ai 90 minuti previsti dal regolamento. Secondo quanto riportato da Opta, nelle prime due giornate di questo campionato in Serie A si è giocato per un tempo effettivo di appena 53 minuti e 40 secondi a partita.
In questo senso il record negativo dell’ultimo weekend spetta alla sfida che ha visto protagonisti l’Udinese e la Lazio: dei 103 minuti e 14 secondi di durata del match (recuperi compresi) il tempo di gioco effettivo è risultato essere di soltanto 49 minuti e altrettanti secondi. Il problema del tempo che viene perso durante una gara (spesso volontariamente da chi vuole mantenere un risultato favorevole) non è certo una novità. Si tratta infatti di una questione dibattuta da tanto, a maggior ragione da quando, soprattutto negli ultimi venticinque anni, il gioco è diventato sempre più televisivo e i club hanno iniziato a ricevere la maggior parte dei loro introiti dagli accordi stabiliti con i vari broadcaster. In conseguenza di ciò, il calcio si è trasformato in un prodotto televisivo, uno show business, tanto è vero che si è cominciato a parlare di fruitori e di clienti quando ci si riferisce a quelli che una volta venivano chiamati semplicemente tifosi. Ecco allora diventare routine le tournée estive in Asia o negli Stati Uniti, volte proprio ad aprire alle singole squadre nuovi e remunerativi mercati.
Ma i club non possono accontentarsi di queste forme di gettito. In un mondo dove ormai sono a disposizione tantissime forme di divertimento, sportive e non (pensiamo ad esempio alle piattaforme di streaming e alle centinaia di programmi alternativi che offrono), il calcio deve dimostrarsi competitivo per mantenere la sua posizione di sport numero uno del pianeta. E questo è particolarmente vero nei confronti delle nuove generazioni, come dichiarato dallo stesso Gravina quando ha affermato di voler “rendere il gioco sempre più attrattivo e spettacolare, soprattutto per i giovani”. Nella generazione Z infatti (quella nata a cavallo fra gli anni Novanta e la prima decade dei Duemila) si comincia a notare una certa disaffezione verso il football, dovuta anche a una lunghezza delle partite ritenuta eccessiva da ragazzi abituati ai ritmi veloci di TikTok.
Per ovviare a questa situazione si è già assurdamente pensato di sostituire i raccattapalle, qualche volta al centro delle polemiche per le loro lente restituzioni della palla, con dei supporti a bordo campo. Ma non basta. Avanti dunque con l’idea di un tempo effettivo che dia certezza del tempo giocato e, allo stesso tempo, ne contenga la durata. D’altronde, la pallavolo non è forse esplosa a livello globale quando l’allora presidente Ruben Acosta introdusse il rally point system, cioè l’assegnazione di un punto dopo ogni azione e non solo sulla propria battuta (com’era in precedenza)? Il risultato fu quello di ridurre drasticamente la durata degli incontri, rendendoli frizzanti e veloci. Per mantenere il proprio fascino sui giovani forse il calcio dovrà intraprendere una strada simile.