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la nota stonata #3

Finito il calciomercato può iniziare davvero il campionato?

Enrico Veronese

Venerdì scorso quattro squadre di Serie A dovevano scendere in campo senza che i rispettivi tecnici avessero contezza dell’esatta rosa a loro disposizione. Ora la pausa per la Nations League e poi per qualche mese (davvero?) si potrà pensare solo al campo

A volte succede che le note stonate prendano il sopravvento rispetto allo spartito, e che prevarichino per numero e per mezzi le armonie del dover essere. Non è un caso che ciò spesso avvenga, nel calcio, durante l’ultima settimana, l’ultimo giorno, le ultime ore del calciomercato: in specie da quando è aperto praticamente sempre, dentro e fuori le regole, attuato o differito, palese o sotterraneo. La rutilanza degli impegni agonistici, vieppiù estesi (ne è prova l’ipertrofia superlegata della Champions League: di cosa è campione una squadra che arriva quinta in un campionato in declino?) va di pari passo con quella delle trattative, che non si fermano mai e interferiscono per discutibile regolamento anche durante il calendario sportivo: venerdì scorso quattro squadre di Serie A dovevano scendere in campo senza che i rispettivi tecnici avessero contezza dell’esatta rosa a loro disposizione, salutando anzi qualche atleta già negli spogliatoi, con la valigia in mano per destinazione last minute. È troppo difficile contemperare le esigenze dei bilanci e gli aspetti tecnici che sono poi l’oggetto del gioco? Pare che invece il loro spazio si restringa, al pari di quello lasciato libero nelle divise ufficiali da sponsor di manica e di coccige, in attesa di nuove imperdibili invenzioni che manifestino il peso acquisito nella società da questa o quella impresa di gaming.

            


Questa è "La nota stonata", la rubrica di Enrico Veronese sul fine settimana della Serie A, che racconta ciò che rompe e turba la narrazione del bello del nostro campionato che è sempre più distante da essere il più bello del mondo


               

Fosse almeno universalmente utile, un mercato così costruito, allora la Juventus non avrebbe esitato a gettare nel terreno di gioco tutta la sua nuova potenza di fuoco: Thiago Motta, infatti, non sfrutta dal primo minuto praticamente nessuno degli acquisti deluxe, salvo Juan David Cabal - piuttosto marginale - e Michele Di Gregorio in porta. Ricorrere a Nicolò Savona o Samuel Mbangula dalla Next Gen, imitato presto da Fabio Pecchia (Mateusz Kowalski da zero a cento, dalla Primavera alla traversa colpita allo stadio Maradona) e Daniele de Rossi con Niccolò Pisilli, a suo modo un pizzino in codice ai Friedkin e alla squadra, sta a metà tra l’intuizione fulminante di chi non conosce gerarchie e l’eruzione di una fenomenite a dimostrare l’assoluta padronanza del mezzo, per rivendicare a sé i crismi del plausibile successo. Il calcio giocato come mezzo, appunto, anche quando non viene determinato a tavolino nelle sale dello Sheraton milanese, dove alle 22.37 un trafelato agente autointrodotto schiva le telecamere di Sportitalia per offrire contemporaneamente all’Udinese, al Lecce, al Frosinone il riscatto con obbligo dello svedese Nd’Olawugbe o del magiaro Attila Féher, 19enne aletta scattante coi dreadlocks o esperto direttore di gioco il secondo, mai visti manco via YouTube, magari mai esistiti. E in venti minuti si deve decidere di cambiare vita, città, assetto tattico, relazioni, random.

Una giornata, la terza, anche per via dell’impatto mercantile vissuta quale ultima delle vacanze pre-Nations League, alibi per chi deve reimpastare la squadra in quindici giorni, a spogliatoi semideserti: naturale che disorienti pure i fantallenatori prossimi all’asta, sovvertendo scalette, valori, idee. Cacofonica è la vicenda di Victor Osimhen, che dopo aver sbandierato già a gennaio la volontà di abbandonare Napoli, ora è quasi costretto a rimanervi (inattivo) fino all’avvento del 2025, avendo rifiutato sia la prospettiva araba che quella, più competitiva, in orbita Chelsea. A quasi 26 anni, nel pieno di una carriera che si annunciava determinante e con il serio rischio di svalutazione: complimenti al troppo volere e al nullo stringere capre più cavoli. Stridulo è il 4-0 incassato dall’Atalanta a San Siro, ben al di là della palmare forza dell’Inter: quando una partita nasce male è difficile riprenderla, ma se il divario è questo fa bene Gian Piero Gasperini a preoccuparsi in chiave europea, dove il livello competitivo non scende. E qualche opzione di mercato appare più una toppa sopra tessuti lacerati che un investimento convinto.

Ma tornando al mercato, stuzzica la coppia di talenti internazionali acquisita in prestito dal ricco Como, rispettivamente Máximo Perrone dal Manchester City e Nico Paz dal Real Madrid: per analogia di ruoli e impatto iniziale, fatte le debite proporzioni potrebbero essere gli Enzo Barrenechea e i Matías Soulé che la Juve un anno fa spedì a Frosinone. A proposito, proprio il regista argentino - assieme a Samuel Iling jr. - è stato protagonista suo malgrado dell’ennesima insensatezza di mercato: inoltrati all’Aston Villa in cambio di Douglas Luiz (altro mistero, finora), in cinquanta giorni mai hanno messo piede in campo, prima di essere di nuovo immessi nel circuito delle compravendite, volando rispettivamente a Valencia e a Bologna, presunte destinazioni iniziali. Se c’è un perché dietro a tutto questo, e soprattutto se non sta nelle scelte tecniche, cosa impedisce di rivelarlo? È la mancanza di trasparenza a uccidere il calcio europeo del 2024: nessuno spiega, come non è consentito agli arbitri a fine partita. Il grosso del pubblico non conosce né capisce i significati reconditi del ginepraio di plusvalenze, decreto Crescita, dilazioni e bonus: figurarsi se può essere chiaro come due calciatori integri ed efficienti, Kevin Danso e Tiago Djaló, non superino “ufficialmente” le visite mediche alla Roma, con loro stesso sbigottimento e senza che nessuno abbia alcunché da dichiarare a copertura. O che Raphaël Varane, star del pallone mondiale, venga prima strombazzato in campagna abbonamenti, poi addirittura collocato fuori lista dal Como per imprecisati fastidi. Meno male che ci sono ancora direttori sportivi del tipo di Filippo Antonelli o presidenti a nome Saverio Sticchi Damiani, che nelle conferenze stampa dicono pane al pane, spiegando ogni operazione dal punto di vista sportivo e finanziario, a tutto vantaggio di chi segue: buone pratiche da mutuare, altrimenti ditelo e non vi si bada più.

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