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Il Barcellona punta sull'Africa per risolvere parte dei suoi problemi

Francesco Caremani

L’obiettivo che si è dato il club catalano è duplice: da una parte individuare prima dei club concorrenti il talento e farlo crescere nella sua squadra B; dall’altra valorizzarlo e rivenderlo per fare plusvalenze

Costa d’Avorio, Mali e Senegal. È in questi paesi africani che il Barcellona di Joan Laporta, discusso e discutibile presidente blaugrana, sta cercando il campione del futuro. Niente di nuovo sotto il sole, perché olandesi, tedeschi, francesi e anche inglesi sono decenni che pescano nel continente per rinforzare le proprie squadre, sia attraverso lo scouting nei vari tornei che attraverso accordi con accademie locali, fino ad arrivare a crearne alcune di proprietà. L’obiettivo che si è dato il Barça è duplice: da una parte individuare prima dei club concorrenti il talento e farlo crescere nella sua squadra B; dall’altra valorizzarlo e rivenderlo per fare plusvalenze. Quello che ha fatto con il centrale senegalese Mikayil Faye (20 anni) venduto al Rennes per 10 milioni di euro, più del doppio di quanto era stato pagato, coprendo gli investimenti già fatti in questi anni dalla società catalana in varie accademie africane; considerando che vestire la maglia blaugrana, per un giovane calciatore africano, significa vedere aumentare il proprio valore di mercato senza nemmeno scendere in campo.

Il club catalano ha messo il direttore dell’area scouting, Paulo Araujo, a capo del progetto, Sergi Barjuan alla direzione tecnica e si avvale della figura di Moussa Koné, ex centrocampista ivoriano, tra le altre di Atalanta, Frosinone e Pescara, attualmente svincolato, il quale in loco può aprire le porte necessarie a raggiungere lo scopo. Intanto il diciassettenne maliano Ibrahim Diarra, ala cresciuta nell’accademia Africa Foot, è arrivato lo scorso gennaio. Mentre in questi giorni è stata la volta del diciottenne ghanese Aziz Issah e del connazionale, terzino sinistro, David Oduro; entrambi destinati al Barcellona Atlètic, la seconda squadra blaugrana, che attualmente milita nella terza serie spagnola.

C’è stato un tempo in cui il Barça poteva comprare giocatori senza preoccuparsi del bilancio, perché vinceva tanto e incassava molti soldi, due variabili che sono mutate in questi ultimi anni, aumentando i debiti e costringendo la dirigenza blaugrana a fare mercato a spizzichi e bocconi, causa i limiti finanziari imposti da Fifa e Uefa. A questo dobbiamo aggiungere che dopo la "generazione Xavi" La Masia non ha più prodotto talento allo stato puro come prima e quindi tutto il sistema del Barcellona, tanto narrato e idolatrato, è andato in tilt. Ovviamente tutti cercano il nuovo N’Golo Kanté o il futuro Sadio Mané, ma non è facile individuare il talento di lungo periodo – di Didier Drogba, per esempio, ce n’è stato uno solo –, poiché la concorrenza sul suolo africano è agguerrita e di recente il Manchester United ha acquistato il diciottenne maliano Sékou Koné per 1,5 milioni di euro: il tempo di farlo debuttare in Premier League e il suo valore sarà decuplicato.

Quando si parla di Africa, poi, andrebbe tenuto sempre presente il fenomeno del football trafficking, troppo spesso taciuto, che rischia di esplodere proprio nel momento in cui tanti club cercano calciatori da portare in Europa, perché è facile convincere chi vive in villaggi poveri che dietro l’angolo c’è un contratto da professionista da firmare, non sapendo che per sfondare serve molto di più che saper dare del tu al pallone. E si ripropone, così, un neocolonialismo pallonaro che potrà risolvere i dilemmi tattici ed economici del Barcellona, ma che alla lunga potrebbe mettere in difficoltà il calcio spagnolo, il quale fino a ora ha seguito un altro modello: quello che abbiamo ammirato e raccontato all’ultimo Europeo.

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