Jannik Sinner (foto Ap, via LaPresse) 

Il sorriso di Jannik

Sinner ha scoperto in fretta il mondo là fuori, fatto di trappole e brutti tradimenti

Tonino Bettanini

Il tennista, dopo la positività, ancora convive con quel velo di tristezza che solo queste prime dure repliche della vita adulta potranno aiutarlo a capire e forse a fugare

Eppure sono certo che Jannik troppo di colpo abbia scoperto il mondo là fuori, fatto di trappole che non ti aspettavi, tradimenti e sentimenti insinceri. Fino ad allora – parliamo di martedì 20 agosto, quando viene pubblicata la sentenza del tribunale sportivo che ne stabilisce l’innocenza in un procedimento avviato dopo che lo scorso marzo era risultato positivo a due controlli antidoping – fino ad allora, lo avevamo quasi perso di vista. Fuori a Wimbledon (al quinto con Medvedev, giramenti di testa: una notte difficile?) i giochi d’acqua in Sardegna, con la sua bella, poi la tonsillite e così addio Parigi e sogni olimpici. Il tutto condito da un principio di fiele nella luna di miele che aveva intrattenuto con tutti noi.

Fino ad allora era stato tutto un florilegio di buone azioni (l’ombrello con cui ripara la raccattapalle a Indian Wells) e buoni sentimenti (rimediare all’errore arbitrale, a giugno, al Roland Garros, contro Alcaraz, concedendo all’avversario di rigiocare il punto) culminato poi nella storia amorosa con lui che vince ad Halle e lei, Anna Kalinskaya, che perde lo stesso giorno a Berlino (“Mi dispiace per la mia ragazza che ha perso con cinque match point, ma anche lei ha avuto una bellissima settimana”). Una navigazione sicura appena fuori dall’adolescenza seguendo una regola di vita, la regola, che solo noi over-over abbiamo conosciuto, educati repressivamente, abituati a farci i letti, apparecchiare, aiutare in casa. Come lui, divenuto, in tempi più moderni, esperto di lavatrici. E che quindi ci fa dire con Oliviero Toscani: “Si vede dallo sguardo che è un ragazzo profondo. Devi fermare quell'attimo lì negli occhi, esprime onestà e capacità”. Anche se poi Oliviero aggiunge, maligno: “Sinner non è italiano, l’italianità è Fabrizio Corona, è imbrogliona, mafiosa” e fa il paio con tutti noi che ancora ci ripetiamo che “non ce lo meritiamo”. 

Che non abbia “alcuna colpa o negligenza” lo dice il tribunale che lo assolve, non quello della sua coscienza però, perché l’incuria del suo staff e la cattiveria in agguato, là fuori, ma la stessa idea che il suo rigore calvinista siano messi in discussione bastano e avanzano per togliergli il sorriso.

E poi appunto ci penseranno i colleghi (Alcaraz: “Ma se lasciano giocare Jannik un motivo ci sarà”). Loro invocano egual trattamento da tribunali su cui pesano ombre e nuvole nere (come nel caso di Alex Schwazer), non plaudono alla rapidità con cui Jannik ha saputo disboscare ogni sospetto. Per loro non vale un “da qui in avanti” ci si allinea alla velocità dell’onere della prova. Per loro è preferibile – idealtipo dell’invidia sociale – che Sinner venga sospeso come è accaduto a chi non era stato né pronto, né convincente nell’allontanare ogni sospetto da sé. E sia dunque messo, Jannik, nel limbo e nei tempi di una squalifica dettata da un burocratico ciondolare. 

L’Italia woke (quella che rinuncia al sonno vero per vederlo giocare), l’Italia che non va più a dormire, rimpiange la freschezza di quel sorriso che titoli di articoli e agenzie ci dicono ancora non sia tornato (“Sinner vince, ma non ritrova ancora il sorriso”). Anche ieri, nel quarto e ultimo set contro lo scacchista Medvedev, quando, guadagnata la metà del campo, sbraccia un drive liberatorio e letale nell’angolo (è il secondo match point), si ferma un attimo. Non esulta. Lo sguardo a terra, la racchetta stretta in pugno e agitata in brevi, compulsivi movimenti (forse per dirle: ”grazie, ci sei”), Sinner ha il capo chino, quasi a voler dire a sé stesso: “Basterà?”.

Ancora convive con quel velo di tristezza che solo queste prime dure repliche della vita adulta potranno aiutarlo a capire e forse a fugare. Sia l’Agenzia mondiale antidoping, cioè la Wada, che quella italiana (Nado) possono ancora presentare un ricorso contro la sentenza di assoluzione di Sinner al Tribunale arbitrale dello sport (Tas), entro 21 giorni da quando è stata pubblicata (il 19 agosto). Praticamente oggi, ai bordi della finale. Che il sorriso sia con lui.

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