Il Foglio sportivo
“Io, il Marsiglia e De Zerbi”. Intervista a Fabrizio Ravanelli
La nuova vita di Penna Bianca all'Olympique Marsiglia: “Aspettavo la Juve, mi hanno chiamato in Francia. Roberto mi emoziona”
Dell’Italia gli mancano la famiglia, gli amici e le strade umbre da percorrere in bicicletta per prepararsi alle Gran Fondo. Per il resto, l’avventura cominciata giusto due mesi fa ha i contorni di una favola. Fabrizio Ravanelli è tornato all’Olympique Marsiglia 25 anni dopo averci giocato. È il consigliere principale del presidente Pablo Longoria, spagnolo che parla perfettamente sei lingue, un passato da osservatore all’Atalanta, al Sassuolo e alla Juventus, uomo ambizioso che vuole riportare la società ai vertici del calcio francese. E per questo si è affidato soprattutto a due italiani. L’ex “Penna Bianca” alla scrivania e Roberto De Zerbi in panchina. Due vittorie e un pareggio nelle prime tre giornate e il secondo posto dietro al Paris Saint-Germain: non c’è che dire, un buon inizio in Ligue 1.
“Sta succedendo qualcosa di incredibile – racconta Ravanelli – Qui a Marsiglia l’euforia è al massimo. La settimana scorsa siamo tornati da Tolosa alle 2 di notte dopo aver vinto 3-1 e abbiamo trovato una marea di tifosi ad aspettarci al centro di allenamento. Sono tutti gasati, per noi non è facile nemmeno andare in giro per le strade della città. C’è un affetto unico. E De Zerbi è diventato il personaggio simbolo”.
Quel De Zerbi che è uno dei tecnici italiani più promettenti, tanto che ha avuto l’endorsement di Pep Guardiola. Che impressione ti ha fatto? Qual è la sua qualità principale?
“Non mi ha sorpreso a livello calcistico, le sue capacità sono note. È un allenatore che ha stregato tutta la squadra come fecero qui Bielsa a Sampaoli. È stato l’aspetto umano, che non conoscevo, a esaltarmi. È una persona vera come poche. Abbiamo gli stessi valori e di conseguenza un rapporto straordinario. Come con il presidente Longoria e gli altri dirigenti Benatia e Giovanni Rossi: siamo cinque persone che diventano una. Non abbiamo segreti tra di noi e soprattutto nessuna invidia. Vogliamo il bene comune dell’OM”.
È un Marsiglia che ha investito molto nell’ultima sessione di mercato. È arrivato anche Valentin Carboni dall’Inter. È così forte come si dice?
“Sì, è un grande calciatore anche se deve migliorare. Cerca ancora un po’ troppo la giocata personale, ma sono convinto che De Zerbi lo aiuterà a crescere perché ha delle qualità tecniche e fisiche da top player”.
Il trascinatore è però l’inglese Greenwood, per il quale avete vinto un testa a testa col Napoli che lo voleva mettere a disposizione di Conte…
“Greenwood pratica un altro sport. Non capisco come i grandi club se lo siano lasciati scappare. Come il Manchester United l’abbia ceduto al Getafe, la squadra con cui l’anno scorso è esploso. Ha un pregio: su 10 tiri, 9 sono gol ed uno viene salvato dal portiere”.
L’OM ti ha dato la possibilità di rientrare nel mondo del calcio. Ti aspettavi che quest’offerta arrivasse prima o poi dalla Juventus alla quale hai regalato, con il tuo gol all’Ajax nel 1996, l’ultima Champions League?
“Sì, non voglio nascondermi dietro a un dito. Mi aspettavo che arrivasse una chiamata per chiedermi di rientrare all’interno di una società che è stata la mia vita, la mia squadra del cuore. Cosa che è successa con Longoria che mi ha aperto la sua porta principale. Quando non c’è, sono io a rappresentare lui e il Marsiglia. È fantastico, un sogno così l’avevo solo vissuto il primo giorno alla Juve”.
A proposito di Juve, hai sempre detto che Conte sarebbe stato l’allenatore giusto per la rinascita. Thiago Motta lo può essere?
“Ha dato dimostrazione di grande personalità e ha le idee chiare. È seguito dalla squadra, nello spogliatoio ha mandato messaggi chiari e credo che siano stati recepiti. Fa sentire tutti importanti, questo permette al gruppo di fare il salto di qualità. Poi, aggiungo che ha l’eleganza e la classe da vero uomo Juve. Oltre a essere determinato. Credo che sia la persona giusta per aprire un ciclo”.
E invece Conte ha fatto bene ad accettare la sfida del Napoli?
“No, secondo me ha preso un rischio grossissimo, non l’avrei mai fatto. So che Antonio non può vivere senza calcio. Ma conoscendolo bene so anche quello che pretende da una società e dai giocatori. Sarà difficile portare avanti il suo progetto a Napoli. Se ci riuscirà, sarà un miracolo. Faccio fatica a pensarlo, ma glielo auguro, uno come lui potrebbe pure farcela”.
Alla Juventus non c’è più Chiesa, quasi costretto a emigrare in Inghilterra un po’ come successe a te nel 1996 al Middlesbrough. Stessa storia?
“Onestamente no. È vero che anche lui è finito fuori dal progetto, ma la mia era un’altra Juve. C’era la mentalità che si potesse rinunciare a me, come a Vialli, Paulo Sousa, Zidane e Vieri. Oggi i giocatori buoni li tengono, non li danno via. Credo che Chiesa abbia deluso nell’atteggiamento, nel modo di comportarsi durante le partite o magari anche fuori dal campo. Quando un giocatore subisce un infortunio come quello che è capitato a lui, se ha un comportamento e una mentalità da Juve, la società non ti lascia solo. Ti dà l’opportunità di riprenderti. Non posso pensare che la Juve si possa privare di uno come Chiesa per un fatto esclusivamente tecnico”.
C’è un Ravanelli nel calcio di oggi?
“No, non ne vedo. L’ultimo è stato Mandzukic a fare un lavoro così grande in campo trasformandosi da attaccante a primo difensore. Oggi si fa fatica a trovare un attaccante con le caratteristiche mie o di Vialli”.
Tra i tanti allenatori che hai avuto ce n’è uno che merita un ulteriore ricordo, Sven Goran Eriksson che ci ha lasciati lo scorso 26 agosto. Cosa ti ha insegnato il tecnico con cui hai vinto uno scudetto, una Coppa Italia e una Supercoppa Europea alla Lazio?
“Mi ha insegnato a comportarmi con educazione, rispetto e umiltà anche nelle situazioni più negative. Vi racconto un aneddoto: prepartita di Lazio-Perugia nel 1999/2000, la stagione dello scudetto. Boksic non voleva giocare perché i pantaloncini erano troppo stretti. Il mister con la massima tranquillità, con la sua classica compostezza, gli disse di andare pure a casa e che avrei giocato io al suo posto. Un personaggio unico che ha cambiato il calcio in Italia”.
Chi ha più possibilità di vincere il proprio campionato, il Marsiglia o la Juventus?
“Ti dico il Marsiglia. Sai perché? Perché con De Zerbi ogni cosa è possibile. Mi sto emozionando mentre ne parlo. È un allenatore fuori dalla norma. Ha conquistato il gruppo con la sua filosofia di gioco. I calciatori vengono al campo con l’entusiasmo di chi vuole migliorarsi e apprendere sempre qualcosa di nuovo. Ha il rispetto della squadra, è magnetico. Per tutto questo ogni traguardo è possibile”.