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Il Foglio sportivo

Che cosa si nasconde dietro il calcio turco

Marco Gaetani

Ecco come e dove i grandi club tuchi sono passati da essere quasi al collasso a trovare i soldi per ben quattro capocannonieri del nostro campionato: Icardi, Dzeko, Immobile e Osimhen

Non più tardi di tre anni fa, il calcio turco pareva prossimo al collasso. Al tracollo avevano contribuito diversi fattori: la svalutazione della lira turca, un problema non da poco per club abituati a negoziare con le loro star ingaggi in dollari o in euro; il Covid, che aveva abbattuto gli introiti da stadio all’interno di realtà in cui la voce del botteghino era ancora particolarmente rilevante; un certo malcontento da parte dell’esecutivo, che chiedeva a gran voce il ripianamento del debito in particolar modo da parte delle tre grandi di Istanbul, Galatasaray, Fenerbahçe e Besiktas. Nei campionati giocati a cavallo del periodo pandemico, forse non a caso, erano arrivate due vittorie un po’ fuori dai radar: quella dell’Istanbul Basaksehir nell’annata 2019-20, squadra che ha potuto beneficiare della forte influenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ma anche di una struttura meno ambiziosa e per questo più solida delle big, e quella del Trabzonspor nel 2021-22, un club che aveva segnato la storia del calcio turco tra la metà degli anni Settanta e degli anni Ottanta, ma che non vinceva un campionato dal 1984. Viene dunque da chiedersi come sia possibile che un sistema prossimo all’implosione sia riuscito, nel corso delle ultime stagioni, a far arrivare in Turchia ben quattro capocannonieri del nostro campionato dell’ultimo decennio: Mauro Icardi, Edin Dzeko, Ciro Immobile e, con un colpo a sensazione, persino Victor Osimhen, uno che non più tardi di un anno fa sconquassava le difese della Serie A da leader emotivo del Napoli campione d’Italia.
 

Non è semplicissimo ricostruire tutti i passaggi che hanno portato Galatasaray, Fenerbahçe e Besiktas a spendere nuovamente enormi quantità di denaro, soprattutto in termini di ingaggi. I diritti tv del campionato turco sono stati venduti a una cifra relativamente bassa – nell’estate del 2023 è stato infatti siglato un accordo biennale da 370 milioni di dollari complessivi – e non sono nemmeno i soldi della Champions League a foraggiare i club, se si considera che nell’edizione che sta per prendere il via nessun club turco aveva garantito un posto nella League Phase: il Fenerbahçe di José Mourinho (10,5 milioni di euro a stagione, a proposito di soldi) è uscito nel terzo turno preliminare, eliminato dal Lille, e il Galatasaray campione in carica è stato sbattuto fuori nel playoff dagli svizzeri dello Young Boys, lasciando così il calcio turco ai margini delle 36 squadre sedute al tavolo della nuova maxi-Champions.  Quel che è indubbia è la capacità dei grandi club turchi di attirare sponsor di un certo peso: il Galatasaray, per esempio, ha in corso due contratti di sponsorizzazione con Sixt (quinquennale da 100 milioni di euro siglato nel 2023, rinnovando un rapporto iniziato nel 2020) e Socar (l’azienda petrolifera statale azera ha firmato un triennale da 15 milioni di euro per le sole partite europee), con Rams Global che detiene i naming rights dello stadio e, un anno fa, annunciò orgogliosamente di avere avuto un ruolo attivo nel finanziamento della trattativa per il riscatto del cartellino di Mauro Icardi. Il Fenerbahçe, invece, può contare sul portafoglio sterminato di Ali Koc, il presidente eletto nel 2018 (si tratta di club in cui si procede con l’elezione del presidente proprio come capita a Barcellona e Real Madrid, per fare due esempi noti anche al grande pubblico) quando risultava complicato persino pagare gli stipendi. Al momento del suo arrivo, il Fenerbahçe, inteso come gruppo sportivo e non come club calcistico, era alle prese con un buco di 621 milioni di euro, dovuto in gran parte alle spese pazze portate avanti dalla società di calcio in quegli anni: soltanto due anni prima, tra gli altri, erano arrivati a Istanbul Nani e Robin van Persie dal Manchester United. Persino il Trabzonspor, di fatto la quarta “grande” del paese, ha siglato un accordo quinquennale da quasi 50 milioni di euro per i naming rights del nuovo stadio con Papara, una banca turca.
 

Un anno fa, provando a fare i conti in tasca alle quattro big, l’economista Kerem Akbas stimava in due miliardi di euro il debito complessivo delle società. La fotografia della Uefa sul singolo anno evidenziava invece come tutte e quattro le realtà fossero nella top 10 delle peggiori performance finanziarie dei club europei. A pesare in maniera enorme sono gli ingaggi, mentre sui cartellini si cerca di risparmiare, lavorando soprattutto su prestiti e parametri zero: una realtà che va in contrasto con la necessità teorica di fare player trading per provare a risanare delle casse che risultano disastrate. Ismail Sayan, giornalista sportivo turco, in un’analisi di questo ritorno di fiamma ha espresso un concetto sibillino: “Molti tifosi sono convinti che il posto in cui si vince il campionato sia l’aeroporto”, in riferimento alle accoglienze di massa che vengono riservate alle star che approdano in Turchia. La pressione dei tifosi, talvolta ai limiti dell’insostenibile, come dimostra l’escalation di violenza che ha travolto il calcio turco nella scorsa stagione, contribuisce a generare un circolo vizioso che vede i club impegnati in un continuo inseguimento all’ultimo rilancio sugli ingaggi, una sorta di asta impazzita di Fantacalcio in cui si spendono anche i soldi che non si hanno.
 

Bisogna dunque tornare al collasso sfiorato – ed evitato – grazie a una ristrutturazione del debito imposta sì dallo stato, ma in parte persino agevolata dallo stesso, visto che ad assistere Galatasaray, Fenerbahçe, Besiktas e Trabzonspor è arrivato un network di banche di proprietà dello stato. Il calcio, in Turchia, è anche e soprattutto una questione di populismo: andare a intaccare il giocattolo vorrebbe dire provocare malcontento e l’attività di controllo sui bilanci del club non pare particolarmente intensa.
 

È così che i tifosi del Galatasaray, dopo le cinque sberle prese in Supercoppa dal Besiktas di Immobile possono accorrere in massa ad accogliere Osimhen, cercato (neanche poi troppo) da alcune grandi d’Europa durante il mercato e poi corteggiato dai milioni dell’Arabia eppure finito a Istanbul, così come José Mourinho. Il portoghese non ha perso tempo per provocare il suo nuovo rivale, perché tra Fenerbahçe e Galatasaray il derby dura tutto l’anno: “Victor è un giocatore fantastico, ho un buon rapporto con lui anche se si butta molto a terra. Gliel’ho anche detto, è uno dei giocatori africani più forti con Salah, prima di lui ci sono stati Drogba, Eto’o, Weah. Non può buttarsi così tanto”. Normale amministrazione, roba da ricchi. Già, ricchi?

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