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Il Foglio sportivo

Terzi e Raimondi: la coppia d'oro dello sport azzurro

Paola Arrigoni

Dopo 10 medaglie vinte ai Giochi Paralimpici di Parigi, i due campioni del nuoto si raccontano: caratteri diversi ma uniti dall'acqua, oltre che dalla presenza del loro figlio di appena sei mesi sugli spalti, a fare il tifo per i genitori

Sono saliti sul podio dieci volte alla Defense Arena di Parigi. Una insieme, nella staffetta 4x100 metri stile libero mista. Stefano Raimondi e Giulia Terzi hanno fatto brillare il medagliere alla Paralimpiade di Parigi 2024. Insieme. La loro è una storia che nasce tra il cloro delle piscine della Nazionale italiana di nuoto paralimpico. L’incontro nel 2018, l’amore l’anno successivo e poi l’uscita pubblica ai Giochi di Tokyo, dove in due hanno conquistato 12 medaglie. Ancora una volta, la coppia paralimpica si conferma a Parigi. Qui, però, non sono più solo in due a festeggiare. Sugli spalti c’è anche il piccolo Edoardo: “È stato bello averlo con noi, un giorno gli racconteremo cos’hanno fatto mamma e papà alle Paralimpiadi”, sorride Giulia.

               

 

I loro percorsi, che si intrecciano poi qualche anno fa, sono abbastanza diversi. “Da piccolina odiavo l’acqua, praticavo ginnastica artistica. È stato quello il mio primo amore sportivo. Poi però il neurochirurgo mi ha detto che il nuoto sarebbe stata l’unica opzione data la mia patologia”. Giulia nasce con scoliosi congenita. All’età di 19 anni iniziano gli interventi con anche coinvolgimenti midollari a livello cervicale e problemi alle braccia. I medici le consigliano di nuotare. Da quel momento “sono entrata nella realtà del mondo paralimpico, all’inizio per divertirmi e star bene con i compagni della Polha Varese, poi piano piano sono arrivati i risultati a livello nazionale”.

Per Stefano invece “è sempre stato il nuoto. Ho iniziato in seconda elementare. Mia mamma aveva paura dell’acqua, e ha spinto subito me e i miei fratelli ad andare in piscina. Non ci siamo più fermati”. Nel 2013 l’incidente. “Pensavo di smettere. Un anno giusto dopo l’incidente però sono risalito sul terzo gradino del podio al campionato italiano giovanile. Quello mi ha dato la carica e l’adrenalina e da lì è iniziata la strada che mi ha portato fin qui”. 
Il nuoto come rinascita per entrambi. Prima individuale. Poi insieme. Ora come famiglia.

Si incrociano la prima volta a un raduno della Nazionale. “Ci è voluto un po’ di tempo per conoscerci. Diciamo che caratterialmente siamo molto diversi perché io sono una ragazza che parlerebbe anche con i muri, estremamente espansiva ed estroversa. Al contrario Stefano è molto timido”. Dopo un paio di mesi però “scocca tutto e ora eccoci qua, la nostra prima Paralimpiade in tre”. Edoardo nasce a febbraio di quest’anno. Sei mesi più tardi è a Parigi, a fare il tifo per mamma e papà. “Abbiamo cercato di essere atleti e allo stesso tempo genitori. Il giorno in cui non avevamo le gare le passavamo con lui. Potrebbe sembrare stancante, ma in realtà ci dava la carica”. Lo stesso prima del tuffo in vasca. “Sia io che Stefano andavamo a salutare Edoardo che era in piscina a guardarci con i nonni e la famiglia”. E “con il piccolino sugli spalti”, come ricorda Stefano, sono arrivate anche le medaglie. Non era scontato. “Quando non ci allenavamo insieme, cercavamo di combaciare in modo che uno dei due fosse sempre a casa con Edoardo. L’ultimo periodo però gli allenamenti coincidevano perfettamente perché la piscina di Milano era rimasta aperta solo per noi della squadra. Non ce l’avremmo fatta senza la famiglia”. Ma non era neanche scontato arrivare a qualificarsi per Parigi. “Il World para swimming aveva fissato dei criteri per la partecipazione ai Giochi” ricorda Giulia. Tra questi, gareggiare a una World series o all’europeo di Funchal. “L’anno scorso non sono partita per il mondiale perché ero incinta. L’europeo di Funchal si è svolto esattamente 58 giorni dopo la nascita di Edoardo, ci sono arrivata forse con quindici allenamenti alle spalle”. In quell’occasione bastava la partecipazione, i tempi li aveva già fatti ai campionati italiani. “Sono stata anche fortunata, sia perché il mio corpo ha risposto bene, non tutte le mamme hanno gli stessi tempi di recupero, sia perché ho avuto un grandissimo aiuto da parte della mia famiglia e del mio allenatore che ha rivisto la preparazione per aiutarmi ad arrivare fin qui”. Tanti piccoli tasselli che si sono incastrati. E che li ha portati a vivere Parigi 2024 sotto una luce differente.


Tornano a casa, quella che hanno preso dopo Tokyo vicino a Treviglio, con tante medaglie e altrettante emozioni. “Siamo persone molto semplici. Se non siamo in piscina ci piace trascorrere il tempo in famiglia e stare insieme”. Tra passeggiate serali con Leslie e Mia, le loro cagnoline, “sono quelli i momenti belli, che ti fanno star bene”. Perché poi, “sembra una stupidaggine, però quel tempo che dedichi alla casa, alla famiglia e alle cose che magari si perdono per gli allenamenti o il lavoro, è il tempo che ti rende l’energia necessaria”. Il punto di riferimento è su ciò che ha donato tanto a entrambi: il nuoto rimane una, ormai delle, priorità.