la nota stonata

Il Var in crisi e la resilienza di Manuel Locatelli

Enrico Veronese

Dal goal di Cutrone al rigore negato a Dybala: la tecnologia rischia di passare da soluzione a parte del problema del calcio italiano. Intanto il centrocampista della Juve brilla nei primi match di campionato e smentisce le previsioni estive, mentre Douglas Luiz fatica

Una ormai radicata locuzione sancisce: ciò che non è parte della soluzione, diventa parte del problema. Ed è un attimo, nell’Italia sfibrata di oggi, passare dal primo al secondo stato: le disfunzioni domenicali del Var uniscono Como e Salerno più di quanto l’autonomia differenziata le possa allontanare. E quella che era stata identificata come la panacea dei mali del calcio, in un 2017 ormai lontano per tecnologia e sviluppo dell’intelligenza artificiale, oggi si rivela nient’altro che una complicazione in più, e soprattutto meno equanime di quanto dovrebbe. Cinque minuti di collegamento interrotto allo stadio Sinigaglia, a raffreddare i muscoli degli atleti e sospendere qualsiasi esultanza o scampato pericolo, quando chiunque in tv aveva già potuto osservare che il goal del provvisorio raddoppio firmato da Patrick Cutrone “era bòno”e che il Bologna - capace di far tremare il mondo per dodici mesi - già non c’è più (cosa ci faceva Juan Miranda là, a Samarcanda?). All’Arechi tuttavia è stato possibile fare anche di peggio, rinviando per oltre due ore e mezza l’avvio di Salernitana-Pisa, a causa della pericolante connessione della struttura che rendeva impossibile accedere al Var: un appunto per chi contesta le antenne, il 5G (benvenga il 6), le superstrade digitali. Sarebbe potuto accadere in Europa? Forse, sta di fatto che è successo qui, nell’Italia del nord e in quella del sud, alla faccia delle diseguaglianze.
  
E più che di nota stonata, nella pur conclamata esigenza arbitrale di essere assistita da remoto per ridurre i propri alibi, è magari il caso di parlare di partitura da cestinare, senza il rischio di una rivalutazione postuma a pelosi fini commerciali: a Marassi la geometria delle linee virtuali da tracciare per consolidare l’operato del fuorigioco semiautomatico ha richiesto, si direbbe, l’intervento dei tecnici della Nasa e di una speciale commissione di architetti urbanisti, da quanto tempo è trascorso tra il tocco di palla di Artem Dovbyk e la definitiva assegnazione del suo goal. Confabulazioni e sorrisi tra direttore di gara e giocatori, nel mentre, stemperano la tensione: l’esito non dipende più da loro. Chissà Maurizio Turone quanto l’avrà sognato, in era contemporanea, un onnipotente visore dall’alto che gli confermasse la antica certezza sua (e solo sua?): ma anche lui, di sicuro, quando lo strumento ha fatto occhi da mercante davanti al rigore plateale negato a Paulo Dybala, avrà preferito tenere per sé l’eterno dubbio. Tra disconnessioni elettroniche e pilatesche assenze di responsabilità, non è un buon momento per l’assistente virtuale entrato in vigore nel campionato 2017-2018: pronti, via, e furono due rigori in due giornate contro la Juventus. “Allora funziona”, disse qualcuno.

  

A proposito dei bianconeri, urge annotare la resilienza di Manuel Locatelli. Non c’era formazione estiva che non lo vedesse panchinato da Douglas Luiz, Khéphren Thuram, Nicolò Fagioli: invece è partito titolare nei primi quattro match di campionato, e si suppone sia anche merito suo se la retroguardia di Thiago Motta è ancora imbattuta. Il “volante” col 5 recupera, verticalizza e bada al sodo, lì nel mezzo, fin che ce n’ha sta lì, e lì, e lì: come ai tempi belli dell’Europeo 2021, quando insidiava la titolarità di Jorginho, per alcuni intoccabile. Pure le veroniche si permette l’ex milanista, facendo stonare la nota della critica che lo massacra(va): impietoso il confronto con l’attuale forma del centrocampista brasiliano, schierato forse perfidamente dal tecnico connazionale per far vedere alla massa invocante quanto stia indietro. Douglas si nasconde per tutta la partita in un cantuccio laterale a sinistra, altra cosa - per ora, doveroso ribadirlo, per ora - da quando dominava il terreno dell’Aston Villa. Nella speranza di casa Exor che non si tratti della reincarnazione di Felipe Melo, per due weekend consecutivi steccano i tenori offensivi di una Juve lenta, lentissima nonostante le ali e il fatto che, dietro, l’interscambiabilità di Federico Gatti e Pierre Kalulu lascia intendere un buon futuro.

 

A volo d’angelo: la factory Theão risolve a suo modo l’impasse del Milan e si mostra per quello che è, una società di fatto nel bene e nel male, che decide in proprio oltre l’appalto della fascia e fa scendere a patti dirigenza e settore tecnico. I maligni sostengono che Paulo Fonseca, sotto sotto, avrebbe preferito vincere più stentatamente ma senza il loro necessario apporto… Intanto Nicola Zalewski, ormai star della nazionale polacca ed esaltato anche da uno come Robert Lewandowski, rifiuta la cessione in Turchia rompendo le uova nel paniere dei Friedkin, devoti a santa Plusvalenza: “perdere a zero” è il diavolo tentatore, ma a Roma si sta bene. In Italia, si vive ancora bene. Forse qualcuno non se n’è accorto: ma se si stanno impuntando i giocatori, per il loro tenore di vita extracalcistico e le libertà del Paese, allora la tendenza sta finalmente per essere invertita.

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