il foglio sportivo
Tutti i colpevoli del pasticciaccio Fonseca al Milan
Il futuro dell’allenatore portoghese non è più legato al derby. Solo battendo l’Inter può allungarsi la vita
Tra quarantotto ore Paulo Fonseca non dovrebbe più essere l’allenatore del Milan. Le voci di dentro, mai così nitide da un anno a questa parte, parlano di un destino ormai segnato in caso di sconfitta (sarebbe il settimo derby perso consecutivo, record per la storia della città) ma anche in caso di pareggio. È sintomatico che solo gli interisti più ipocondriaci si avventurino a immaginare una vittoria del Milan: sulla sponda rossonera l’umore è rasoterra e non aiutano certi sguardi, certe sparate, persino certe iniziative commerciali (a giudicare dalla mia casella di posta elettronica, il Milan stringe una partnership con tre-quattro marchi alla settimana) che, quando il piatto piange, agli occhi dei tribunali social si trasformano in fragorosi autogol.
Il quadro generale sembra proprio quello da manuale di una società allo sbando: nel disordinato corpaccione di RedBird-Elliott si fronteggiano due anime contrapposte, come il Milan aveva avuto modo di sperimentare già un decennio fa, quando per un anno e mezzo si erano scornati a centro ring Adriano Galliani e Barbara Berlusconi, due amministratori delegati con diverse competenze, ma uguale sete di potere, nel caso del vecchio Condor anche per una questione di principio. Ma i tempi sono cambiati, forse persino in peggio: al posto di un dirigente comunque pluridecorato c’è la coppia composta da Giorgio Furlani e Geoffrey Moncada, opportunamente silenziosa dal momento che dall’altra parte della barricata, al posto della Figlia del Capo, c’è il Braccio Destro (pardon, Senior Advisor) Zlatan Ibrahimovic, che ha preso a esprimersi in maniera rumorosa e cacofonica, attirando a sé tutta la melma che fuoriesce dal ventilatore. Ibra è decisamente l’uomo del momento in casa Milan, tanto che ormai – in mancanza di avvenimenti più incoraggianti – fa notizia persino il fatto che vada a lavorare.
E c’è ragione di pensare che le insistite guapperie da big boss siano il suo modo per delegittimare Fonseca e preparare il terreno al nuovo allenatore. Perché, a quanto pare, pur essendo il sire di Milanello, Fonseca non l’ha scelto lui. Già: chi l’ha scelto Fonseca?
Visto che in tre mesi non abbiamo registrato alcuna presa di posizione chiara, com’è anche normale che sia quando una scelta si rivela così fallimentare, tocca procedere per esclusione. Dubitiamo che Ibrahimovic, così preso dai suoi mille impegni, abbia trascorso cinque mesi a visionare ogni partita del Lille e apporre il sigillo papale a un tipo così felpato e signorile; più probabile, vista la provenienza francese, che Fonseca sia farina del sacco di Moncada, che però da qualche tempo va dicendo a sua discolpa che la sua prima scelta sarebbe stata Julen Lopetegui, l’allenatore spagnolo saltato ai primi di maggio per effetto della sollevazione popolare della tifoseria (ad ogni modo, il West Ham di Lopetegui è attualmente quattordicesimo in Premier League). Quale sarebbe stata dunque la scelta di Ibra? Magari il suo ex compagno Thiago Motta, o forse Antonio Conte che per mesi si era esplicitamente proposto al Milan prima di accettare la corte di De Laurentiis? Non è dato saperlo: è nebulosa l’idea stessa di calcio e di calciomercato del divo Z, che da quando si è stabilmente insediato ha soprattutto fatto largo uso di slogan e auto-proclamazioni messianiche, tra le risatine plaudenti dei molti giornalisti che indulgono a chiamarlo “Zlatan”, in una sostanziale incapacità di separare l’alto dirigente dal personaggio (quanti altri “boss” si farebbero chiamare per nome? Qualcuno ha mai chiamato pubblicamente Marotta “Beppe”?).
Il sospetto è che queste ingenuità – diciamo così – procedurali finiscano alla lunga per fare il gioco del ramo elliottiano della ditta: da mesi Furlani si è sfilato da qualsiasi discorso tecnico e a occuparsi di campo è rimasto il solo Moncada, che probabilmente ha una visione del gioco un po’ meccanica e molto astratta, che in un contesto ricco di sfumature dialettiche e psicologiche come il calcio italiano, è dimostrato, è votata al fallimento. Soprattutto da noi, un allenatore non è mai un mero esecutore di compiti decisi altrove, né i giocatori si combinano naturalmente come fossero elementi chimici. Insomma Moncada deve aver sottovalutato il concetto di “vasca di squali” in cui deve per forza di cose calarsi qualunque tecnico che venga ad allenare a Milano, a maggior ragione se è straniero: il compito di una società non è solo rimpinzarlo di tanti nuovi acquisti a venti milioni l’uno (dato il costo, nessun fenomeno), ma anche accelerarne l'ambientamento, studiare una campagna acquisti rispettosa dei suoi princìpi di gioco e legittimarlo agli occhi dei giocatori più esigenti e determinanti. A quanto pare, è successo tutto il contrario: questa cronaca di una morte annunciata riconduce dritti alla parabola del Napoli di Rudi Garcia, che a un certo punto oramai aspettava solo l’esonero. Alla quinta giornata, alla settima, alla decima, a ottobre, a Natale: che importa? Quel che rimane è questo casting un po’ volgare che impazza sugli stessi giornali che fino a una settimana fa giuravano “fiducia totale” verso Fonseca. È evidente che sia arrivata un’imbeccata dall’alto, una sorta di via libera all’apertura delle illazioni, ed è evidente che questo stillicidio riservato a una figura apicale come l’allenatore nasconda una poca considerazione del ruolo. Così vale tutto, almeno per qualche centinaio di ore: il giovane Terzic, il prudente Conceiçao, il visionario Tuchel, il vecchio Sarri, il pragmatico Allegri: che è come voler andare a vedere un bel concerto domani sera, ma proprio non saper scegliere tra Annalisa, i Black Sabbath e la Berliner Philharmoniker. “Prova d’Orchestra”, si chiamava appunto quel film cupo di Federico Fellini uscito nel 1979, l’anno della prima e unica Stella rossonera: ritratto surreale di una congrega di musicanti litigiosi e inconcludenti che si concludeva con una palla demolitrice che sfondava il muro e li spazzava tutti via.