ciclismo
Tadej Pogacar ha vinto il Mondiale di Zurigo 2024 e ha allungato il ciclismo
Lo sloveno ha conquistato la prova in linea della rassegna iridata. È scattato a 100 chilometri dal traguardo, è rimasto solo in testa quando ne mancavano 51
Tadej Pogacar è un problema per la tenuta di alcune relazioni affettive. C'era un tempo nel quale una corsa durava per i non del tutto appassionati un'ora, un'ora e mezza al massimo. Poi Mathieu van der Poel e Wout van Aert l'avevano allungata oltre le due ore. Tadej Pogacar ha sfondato la soglia delle tre. Serve arrivare presto sul divano, munirsi di numerose birre, silenziare chat e rotture di scatole lavorative. E abbandonarsi alla consapevolezza che può accadere di tutto anche in quei momenti nei quali eravamo abituati a fare un mezzo pisolino, di quelli con un occhio chiuso e uno semi aperto e senza nemmeno una russata.
Non funziona più così, i tempi del ciclismo si sono dilatati enormemente e Tadej Pogacar ha deciso di renderli, di grande corsa in grande corsa, sempre più ampi e personali. È antico per indole Tadej Pogacar, quasi pioneristico, capace di esplorazioni ciclistiche in solitaria, fregandosene di qualsiasi legge non scritta del gruppo. È ipermoderno per espressione in bicicletta, un corridore mai visto sino a oggi, che sembra capace di ogni cosa, di superare avversari di primissimo livello nell'unico modo che lui ritiene sicuro: scattando e rimanendo solo, come dire: "Oh, non mi fido per nulla di voi, per cui provate a prendermi". È adulto e metodico, ma in fondo bambino e improvvisatore, anche se forse di improvvisazione ce ne è in fondo poca.
C'è nessuno come Tadej Pogacar. E quasi mai nessuno alle sue spalle.
Mancavano cento chilometri all'arrivo del Mondiale di ciclismo di Zurigo 2024, quando Tadej Pogacar ha accelerato in testa al gruppo. Voleva vedere l'effetto che faceva agli altri il suo ritmo, osservare chi aveva la gamba buona e chi no. Non è rimasto nessuno con lui. Chi ci ha provato, Quinn Simmons e Andrea Bagioli, ha presto dovuto scegliere tra ammettere un'inferiorità evidente oppure tentare fino all'ultimo di inseguire un'utopia. Quinn Simmons si è staccato quasi subito: è arrivato nono; Andrea Bagioli ha provato a resistere, sperando che lo sloveno decelerasse un pochino: si è ritirato.
Dopo l'allungo Tadej Pogacar si è girato. Non ha visto nessuno, ha scosso la testa. Non per antipatia o per sboronaggine, sia chiaro, è che a lui pare strano di non vedere mai nessuno a ogni sua accelerazione, gli sembra di fare qualcosa di non eccezionale. Cento chilometri sono lunghi, ha senz'altro pensato Tadej Pogacar. Che cosa faccio ora?, si sarà forse chiesto, pensando che davanti aveva solo Jan Tratnik, che per quanto capace di lavorare per due era comunque l'unico su cui contare. Non poteva più tornare indietro, ha proseguito dritto. Il connazionale lo ha aiutato a rientrare sui primi. Quando Mattia Catteneo Cattaneo se lo è visto a fianco, lo ha guardato con uno sguardo tra lo stupito e lo schifato, del tipo "sei forte, sei bravo, sei già qui? Sai che c'è? Un po', ma solo un pochino, hai rotto le balle".
Non ci ha impiegato molto a stufarsi anche della compagnia degli avventurieri del mattino - Tobias Foss, Nelson Oliveira, Luc Wirtgen, Piotr Pekala, Silvan Dillier e Simon Geschke - e del primissimo pomeriggio - Laurens de Plus, Jan Tratnik, Florian Lipowitz, Johannes Staune-Mittet, Kevin Vermaerke, Jay Vine, Stephen Williams, Pavel Sivakov, Magnus Cort e Mattia Cattaneo -, tutti assieme, anche se non appassionatamente, alla ricerca di mettere minuti e minuti tra loro e il gruppo. Una dozzina di chilometri appena, poi al suo fianco è rimasto solo il francese Pavel Sivakov. A cinquantun chilometri dall'arrivo nemmeno più lui.
Tadej Pogacar si è avventurarato per il circuito zurighese per quasi un'ora e mezza in perfetta solitudine. Era riuscito a dilatare il vantaggio sugli inseguitori a oltre un minuto e venti, sembrava destinato a costringere l'organizzazione a pensare a un intrattenimento musicale per fare in modo di non far annoiare il pubblico tra il suo arrivo e il passaggio sotto il traguardo del secondo. Poi si è concesso pure il lusso dell'umanità, del momento di appannamento che a chiunque altro verrebbe assai prima, forse nemmeno alla metà dello sforzo.
Lo sloveno si è ripreso, è tornato a mettere metri e secondi tra lui e tutti gli altri. Dietro di lui è arrivato Ben O'Connor, poi Mathieu van der Poel. Primi a superare il traguardo di un gruppetto di sette corridori (con, in ordine d'arrivo, Toms Skujiņš, Remco Evenepoel, Marc Hirshi, Ben Healy ed Enric Mas), che quanto meno possono dirsi di non aver mollato, di aver creduto sino all'ultimo che un finale diverso poteva esserci. Anche se talmente improbabile da essere fantascientifico: una crisi nera di Pogacar.
Tadej Pogacar vestirà la maglia bianca con i colori dell'iride per i prossimi (più o meno) trecentosessantacinque giorni. Campione del mondo dopo aver vinto Giro d'Italia e Tour de France. Se lo ricorderà a lungo, per sempre, questo 2024 il campione sloveno. Ma ci penserà dal 13 ottobre. Perché il 12 c'è il Giro di Lombardia da vincere con la maglia iridata addosso.