Niccolò Pisilli esulta dopo il suo primo gol in campionato con la maglia della Roma (foto LaPresse)

la nota stonata #6

La Serie A riapre la corsa al giovane prodigio

Enrico Veronese

Niccolò Pisilli, Honest Ahanor e gli altri. Come siamo passati dall'Italia che non è campionato per giovani alla ricerca della novità che viene dalla Primavera. Con qualche significativa eccezione

Pare quasi strano dare conto di una settimana calcistica priva di evidenti note stonate nelle prestazioni, in qualche eccesso sopra le righe, nei dintorni del calcio di Serie A. Salutiamo anzi con favore il ritorno all’antico del doppio centravanti, apparente novità tattica che solo chi ha meno di vent’anni non riesce a immaginare, assuefatti ormai alla moda della punta unica e larghe ali di rientro, spesso poco capaci al cross: Álvaro Morata con Tammy Abraham, Boulaye Dia assieme a Valentín Castellanos non sono più un tabù. In primo luogo perché dimostrano di funzionare, come del resto succede all’Inter dall’avvento di Lautaro Martínez; poi consentono agli allenatori di sperimentare più possibilità durante la partita, fornendo anche l’alibi per maggiori coperture centrali dietro la trequarti, senza abusare delle corsie. Assieme agli esterni che spesso diventano braccetti (Angelino, Giovanni Di Lorenzo, Antonio Candela sono solo i più recenti), le fasi iniziali dell’attuale torneo rivelano la voglia di pensare calcio e di sfruttare appieno i lati nascosti di ogni atleta, anche in controindicazione rispetto all’esito del mercato estivo.

Eppure, la ricerca della novità che va di pari passo con il lancio seriale di tanti “Primavera” (finalmente il campionato degli under torna ad avere la dignità reclamata, di serbatoio) incrocia resistenze di sistema che trascendono il terreno di gioco, venendo bilanciate da empiti di conservazione al primo mezzo passo falso. Da Thiago Motta a Fabio Pecchia, da Alberto Gilardino a Ivan Jurić passando per Daniele de Rossi, pare quasi una corsa al prodigio, all’investitura personale dopo qualche buon allenamento, non di rado giustificata la domenica: l’ultimo grido è Honest Ahanor, esterno baby del Genoa che a 16 anni ha panchinato Aaron Martín e reso già sorpassato il povero Alan Matturro, di soli quattro anni più adulto (stessa età e ruolo del dirimpettaio Jonas Rouhi in maglia bianconera). Superfluo sottolineare che il calciatore nato ad Aversa non può essere ancora cittadino italiano per ius scholae né tantomeno per referendum, ma se diventerà un campione sarà più facile accelerarne l’iter per la convocazione in Nazionale. Da quando è nato ha visto solo l’Italia, in italiano pensa e parla, anche se non si tratta di quell’italianità da pasta tricolore in autogrill.

Ma per un Niccolò Pisilli che segna il goal decisivo nel suo Olimpico, rinverdendo l’eterna tradizione del giovane romano e romanista che eletto in prima squadra infiamma la folla (gol, lacrime, elogi e premonizioni, ragazzine e fan di Ultimo o di Tony Effe), poi magari scema e in qualche caso è pure costretto a partire, ci sono tanti bravi ragazzi il cui battesimo del fuoco viene vidimato da severi cartellini rossi. Il Parma ad esempio ne sta soffrendo oltremodo l’esuberanza, da Matteo Cancellieri a Mandela Keita, ma anche le espulsioni di Davide Bartesaghi a San Siro e Tomáš Suslov a Como lasciano quantomeno perplessi per sproporzione o troppa fretta: ed ecco che si leggono da più parti le invocazioni all’esperienza, al valore dell’usato sicuro, quasi criminalizzando ventenni per normali azioni di gioco (come arrivare primo sul pallone) ove accompagnate dalla gamba, dal riflesso e dalla sfrontata sicurezza che chi vanta il doppio degli anni non può giocoforza più detenere. Quindi la caccia allo svincolato, all’elemento glorioso e in disarmo, con lo scopo presunto di salvare la situazione e spremere le ultime gocce di talento, perché improvvisamente quello dei virgulti stroppia nella cosiddetta incoscienza. Ma vivaddio, bisognerebbe invece ringraziare queste matricole che ci stanno portando nel calcio di domani senza nemmeno osservare le mezze stagioni!

Zidanes y Pavones, dicevano un tempo al Real Madrid: ovvero scelte top e immissioni di nomi inediti nel circus, una rivoluzione che non prevede gerarchie. Come annunciare la formazione ai media il giorno prima, sono piccole ma grandi forzature all’andazzo anestetizzato che non solo benediciamo, ma chiediamo con forza di non vederle abortite per tornare indietro al fosco intervallo delle mani davanti alla bocca. Cosa si disseranno mai, i giocatori inquadrati da personal-cam sempre più invasive? Rideranno dei portieri che respingono in bagher, o scambieranno opinioni se la new wave inglese del Milan (Fikayo Tomori, Ruben Loftus-Cheek, lo stesso Abraham) sia più brat in quanto black, o invece demure poiché proviene dal Chelsea? Di certo non se le sono mandate a dire, agonisticamente parlando, il centravanti rossonero e Kialonda Gaspar, autori di uno dei duelli più avvincenti della giornata. O Patrick Dorgu, sempre più universale, che pregusta di volare in alto forse già a gennaio: star itinerante come altre, emblema di un frangente dove per paradosso la tifoseria stanziale si attacca di più alla squadra-taxi che ai singoli interpreti (accadeva solo pochissimi anni fa tra i più piccoli, educati alle card). Stai a vedere che non tutti i mali vengono per nuocere…

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