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La prospettiva di Matteo Guendouzi
Il centrocampista della Lazio è arrivato alla sua quinta vita calcistica in venticinque anni. A Roma era arrivato tra lo scetticismo, ora quasi nessuno ha più dubbi sul suo conto
Mattéo Guendouzi era arrivato alla Lazio l’ultimo giorno di agosto del 2023 e solo perché l’allora allenatore biancazzurro Maurizio Sarri, dopo aver fatto presente alla società per settimane di avere gli uomini contati a centrocampo, si era inalberato. Era arrivato perché serviva uno che corresse in mezzo al campo senza preoccuparsi della fatica. E poco male se i tifosi avrebbero preferito qualcuno più simile a Sergej Milinković-Savić, andatosene in Arabia Saudita. E Mattéo Guendouzi non aveva né il nome né le caratteristiche per riempire il vuoto negli spalti lasciato dal serbo.
Mattéo Guendouzi aveva ventiquattro anni e aveva già vissuto quattro vite calcistiche. Problemi di prospettiva. Era stato una stella delle giovanili del Paris Saint-Germain, poi un ragazzino senza futuro. All’Arsenal era diventato uno dei centrocampisti più promettenti d’Europa, prima di essere messo da parte reo di non aver fatto quel salto di qualità che tutti si aspettavano. Era andato prima all’Herta Berlino e poi all’Olympique Marsiglia, continuando a fare quello che aveva sempre fatto: correre, pressare, contrastare e, una volta ripresa la palla, ripartire. E continuare a farlo alla maniera di sempre.
Non era cambiato lui all’Arsenal, era cambiato il contesto. Unai Emery lo apprezzava per quello che era, Mikel Arteta voleva altro. Troppo poco raffinato quel cappellone per uno come Mikel Arteta.
Non furono pochi i tifosi della Lazio che dopo le prime partite a bollare come inadeguato, se non inutile, quella lunga chioma riccioluta che si muoveva per il campo senza capire bene cosa stesse facendo.
Un problema di prospettiva. Un altro. Serviva solo un po’ di tempo per far sì che il cono visivo di Maurizio Sarri, quello del francese e quello dei tifosi si calibrassero.
Non ci volle poi molto. Un paio di mesi appena. Il tempo per capirsi. E per accorgersi che quella lunga chioma riccioluta si muoveva per il campo capendo benissimo quello che faceva, anche se a volte tutto ciò non appariva chiaro.
C’è più nessuno che ha dei dubbi su Mattéo Guendouzi, anzi. All’Olimpico se lo godono proprio, perché sanno benissimo che non c’è tanta gente in giro capace di fare quello che fa il francese: in pratica tutto e pure bene. Certo non da fuoriclasse, ma è finito il tempo nel quale i fuoriclasse si trasferivano in Italia.
Lo vedono ogni fine settimana correre, pressare, contrastare e, una volta ripresa la palla, ripartire. O inserirsi, cercare e trovare spazi vuoti da riempire. Lo vedono soprattutto dannarsi anima e corpo. E a volte arrabbiarsi con chi tutta questa foga e questo ardore non lo riversa sul campo di gioco.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.