Il Foglio sportivo
Moussambani in fuga dal coccodrillo
Alle Olimpiadi del 2000, fece innamorare Sydney (e non solo) con i 100 metri stile libero più lenti mai nuotati
La storia che vi racconto oggi, contrariamente a tutte quelle degli scorsi mesi, ho avuto l’enorme privilegio di averla vista con i miei, increduli, occhi. Giochi Olimpici di Sydney 2000. È il mio primo grande avvenimento sportivo, sono inviato per Radio24. Furono le prime Olimpiadi nelle quali gli atleti italiani del nuoto riuscirono a inserirsi nella eterna sfida tra americani e australiani (ed altri, ovviamente) per la caccia alle medaglie. Era il 19 settembre e quella mattina, tra una gara di Fioravanti, Rosolino e compagnia, avevo deciso di non passare dal Media press centre, ma di andare direttamente all’Aquatic centre, lo stadio del nuoto. Un gioiello da 17mila posti tutti già riempiti fin dalle prime ore del mattino per le batterie dei 100 metri stile libero. Gli australiani hanno Michael Klim il detentore del record del mondo con 48”18. Un limite che nel pomeriggio l’olandese Van den Hoogenband demolirà con 47”84 prima di andarsi a prendere l’oro davanti a Popov e Gary Hall (Klim finirà quarto). Ma il 19 settembre entra nella storia non per quella finale pazzesca e nemmeno per il record del mondo di VdH. No, entra di diritto nella storia dei Giochi Olimpici per quel che accade nelle batterie. Settantaquattro atleti iscritti, dieci batterie previste. Gli organizzatori decidono di dividere i contendenti in otto frazioni da otto, una da sette e una da tre. Ovviamente la prima batteria è quella con tre atleti. Sono seduto in tribuna stampa e voglio approfittare della pochezza tecnica delle prime batterie per sistemare un po’ di appunti, programmare il mio pomeriggio quando sarò uscito da lì e organizzare una diretta notturna con le voci dei protagonisti. Notturna per me, visto che in Italia sarà giorno e dalla radio mi chiederanno sicuramente un sacco di collegamenti. Ho trent’anni, è la mia prima avventura da inviato e le energie non mi mancano al punto di fare spesso il giro della morte senza andare a dormire per fare collegamenti quando dalle parti dell’Opera House dormano tutti il sonno dei giusti. Presto, quindi, poca o nessuna attenzione all’altoparlante quando chiama i primi tre batteristi. Mi scappa solo l’occhio sul tabellone elettronico, gigantesco come tutto a Sydney, giusto il tempo di vedere che i primi tre (che a me fa già molto ridere siano così pochi in una vasca immensa) sono un tagiko, Farkhod Oripov, un nigeriano, Karim Bare e un atleta della Guinea Equatoriale, Eric Moussambani.
Il trio arriva sul blocco di partenza accolto dallo speaker con un’enfasi non esattamente simile a quella che sentirò più tardi per Ian Thorpe o Grant Hackett. La prima cosa che mi chiedo è dove diavolo sia la Guinea Equatoriale. Del Tagikistan sapevo il giusto, della Nigeria ok, ma di questa Guinea oltre al fatto che era (presumibilmente) in zona equatore non sapevo nulla. Scoprirò più tardi (ai tempi non c’era Google e pure internet era ai suoi albori) che si tratta di uno dei paesi più piccoli dell’Africa (se la giocava, l’Africa, con la zona dei Caraibi, nel testa o croce sul continente di origine di Moussambani). L’applauso dei 17mila però è fragoroso e risveglia un po’ il mio torpore. Questi atleti vengono invitati con delle wild card, non avrebbero i tempi per poter partecipare ai Giochi. Il Cio offre queste comparsate ai comitati olimpici più piccoli sicuro che poi quando ci sarà da votare per una rielezione gli stessi si ricorderanno di chi ha pensato a loro. Funziona così a ogni latitudine. La Guinea Equatoriale ha portato a Sydney solo 4 atleti ed Eric Moussambani è stato il portabandiera nella cerimonia inaugurale.
I tre salgono sui loro blocchi. Sanno perfettamente che dopo le due vasche (50+50 metri) che dovranno percorrere le loro Olimpiadi saranno finite. Attimo di silenzio generale, tutto pronto per il via, si aspetta il suono della sirena per lanciarsi in acqua. Ma una frazione di secondo prima di udire il suono del “via” Oripov e Bare si lanciano inopinatamente verso il più clamoroso autogol della loro sconosciuta carriera. Partenza falsa. Vengono tutti e due squalificati. Non Moussambani, che saggiamente si era fermato avendo visto i due sconsiderati buttarsi dentro prima dello start. Attimi di imbarazzo. Nel tagiko e nel nigeriano perché realizzano di aver buttato via la loro unica apparizione ai Giochi Olimpici. E in Moussambani, perché non sa se la vittoria gli verrà assegnata a tavolino o se dovrà farsi la batteria da solo. Scoprirò più tardi che Eric, soprannominato “l’anguilla”, era un ragazzo che aveva imparato a nuotare da pochi mesi. E che nella Guinea Equatoriale non esistevano piscine da 50 metri. Eric si allenava nella piscina di un hotel, che però non arrivava a 20 metri di lunghezza. Ed anche sull’“allenava” sarebbe stato lecito l’esercizio del dubbio dopo averlo visto alla prova. Brevilineo e con muscoli molto ben disegnati, Moussambani avrebbe potuto fare molti sport, ma evidentemente fu valutato che il nuoto fosse più vicino alle sue migliori attitudini. Ci fu bisogno di un giudice di gara per spiegare a Eric che le batterie si disputano per prendere i tempi e non solo per mettere in fila dal primo all’ultimo. E che quindi, congedati gli squalificati Oripov e Bare, sarebbe toccato comunque a lui. Da solo. Con a quel punto 17mila persone a osservarlo. E tra queste pure io, che capii in un solo istante che avrei potuto essere testimone di qualcosa di unico. Ero di fronte a un evento pazzesco. Avevo solo paura che anche Eric sbagliasse la partenza e si facesse squalificare pure lui, stritolato da quella pressione che l’urlo dei 17mila gli stava mettendo addosso. Eric non indossa la cuffia, ha il cordino degli occhialetti che pende esattamente come quello del costume. Diciamo che a livello di aerodinamica non ci fu nel suo team particolare attenzione ai dettagli. Fosse stato solo questo…
Pronti, partenza… via! Suona la sirena ed Eric si lancia come un missile. La gente impazzisce, vi assicuro che i decibel che ho sentito quella mattina faranno pari solo con le grandi finali con in acqua gli australiani. Moussambani fa i primi 25 metri mulinando braccia e gambe come morso da una tarantola. Nuota freneticamente senza mettere mai la testa sott’acqua. Sembra uno che sta scappando da un coccodrillo che lo segue con le fauci spalancate. Nonostante questo sbattimento il suo tempo a metà vasca è già alto. Va alla virata in 40”97 (ricordo il record del mondo a 48”18). Ma è qui che inizia il dramma. I polmoni di Eric gli presentano il conto, la sua nuotata diventa una scalata dell’Izoard con una Graziella. Ai 65 metri è praticamente fermo, vedo con la coda dell’occhio che alcuni steward si avvicinano alla vasca come per essere pronti ad intervenire nel caso “l’anguilla” annegasse. Se ci fosse stato il coccodrillo ora Eric sarebbe stato completamente pappato dall’alligatore.
Se possibile, la gente urla ancora più forte. Vuol sostenere questo sforzo sovrumano che Eric sta cercando di portare pietosamente a termine. Il giudice si avvicina al bordo della piscina sotto al blocco per sincerarsi che l’atleta lo tocchi per fermare il cronometro. Che sta andando avanti inesorabilmente oltre il minuto e 45. Le ultime bracciate sono disperate, Eric trova non so dove nel suo corpo e nella sua mente le forze per non affondare definitivamente e quando in stile Dorando Pietri, ma a differenza sua non aiutato, riesce a toccare il bordo l’Aquatic centre, me compreso, esplode. Eric riesce anche a guardare verso l’alto dove il tabellone riporta a caratteri cubitali il suo 1’52”72. Per distacco il peggior tempo della storia nei 100 metri stile libero. La sua uscita dalla vasca viene salutata da una standing ovation che si riserva solo ai giganti dello sport. Ogni talk show televisivo della serata australiana si aprirà con le immagini dell’“impresa” di Eric, che il giorno dopo tutti, tutti, i giornali di Sydney immortaleranno in prima pagina con l’appellativo di “Olympic Hero”. Con la foto di questo piccolo uomo della Guinea Equatoriale, protagonista di una prestazione talmente al contrario da entrare di diritto nel, almeno nel mio sicuramente, Pantheon delle emozioni olimpiche.