Rafael Nadal posa dopo aver vinto il suo primo Roland Garros, nel 2005 (foto Ansa)

L'addio

Vamos, tic e strapotere: cosa lascia Nadal ai nadaliani

Luca Roberto

Il campione spagnolo ha annunciato il ritiro a fine anno, con la Coppa Davis. Quella finale a 16 anni dove tutto è cominciato e il privilegio di esserselo goduto

Rafa ha in un mano un telefonino con cui giocherella, scrive qualche messaggio. Ha sedici anni. Volto sbarbato, colorito scuro, sguardo ingenuo su faccia da indio. C'è un po' di tensione nei suoi occhi. Fascia bianca, maglietta blu della Nike, le scarpette macchiate di terra rossa. Deve giocare la finale del Challenger di Barletta e chi lo vede nella hall del Circolo tennis “Hugo Simmen” passa e pensa sia un ragazzo normale, come tutti gli adolescenti. E' un'impressione che dura giusto qualche minuto. Il tempo di vederlo guadagnare il campo centrale. Rafa ha un servizio non irresistibile, il rovescio è largamente perfettibile, ma col dritto, quando si avventa sulla palla col suo mancino, esplode colpi che si avventurano attorno ai confini della scienza balistica. Per chi scrive, quella domenica 30 marzo 2003 sarà l'inizio di un rito a cui oggi è stata fornita una data di scadenza: “Che sta facendo Nadal?”.

 

Tra chi impugnava la racchetta a quell'età, il nome di Rafa circolava ancora con circospezione. Era già iniziato il regno di sua maestà Roger Federer, quindi un po' tutti gli appassionati erano presi dallo svizzero. Ma un giorno, al campo di allenamento di San Giovanni Rotondo, capitò di sentir rispondere da un compagno di allenamento, alla domanda tu chi segui: “Nàdal”. Con l'accento sbagliato. Affascinava quel suo non darsi mai per vinto, quando un punto stava sfuggendo via. Ma anche quella sensazione di essere sempre affacciati su un recupero innaturale, come se esistessero sì le leggi della natura ma lui fosse nato per aggirarle. C'era chi guardava i Marvel per appassionarsi ai super eroi, e chi seguiva Nadal.

 

Il mito nadaliano è andato a comporre una specie di geografia sentimentale. Per dire, nessuno di noi saprebbe dire con certezza dov'è Sopot, se non collocarla in Polonia. Ma è un posto speciale perché è il primo titolo Atp vinto da Nadal, nell'agosto 2004. Un “Nadal tour” non potrebbe non avere una tappa lì. Così come un posto speciale c'è l'ha Miami. Noi eravamo sempre a Barletta nella settimana dell'Open della Disfida e in quella hall dove un anno prima si era seduto a messaggiare, ora davano Nadal in televisione. Nadal che piazzava un 6-3 6-3 a Federer al secondo turno del Master 1000 in Florida. L'anno dopo, sempre a Miami, con Federer ci avrebbe perso al quinto set (da due set a uno di vantaggio), dando il via a questa rivalità senza tempo che adesso accomuna i due anche nel modo di congedarsi dallo sport tanto amato: con un video pubblicato sui social e i lacrimoni che solcano gli occhi.

 

Non sappiamo se abbia davvero senso parlare di Parigi, se non per dire che nei nadaliani che avevano scoperto Nadal già nel 2003, vederlo saltare i due primi Roland Garros per infortunio non fu piacevole. All'epoca una certa stampa sosteneva addirittura che il francese Richard Gasquet (anche lui vincitore a Barletta, l'anno dopo Nadal), avrebbe potuto meglio performare sulla terra battuta. La risposta di Rafa è che dall'esordio in poi, nel maggio 2005, non ha perso una partita a Parigi fino al giugno 2009, sconfitto dallo svedese lungagnone tutto servizio e diritto Robin Soderling. Con cui poi avrà la sua vendetta l'anno successivo, battendolo in finale. Si ritira con all'attivo sole quattro sconfitte su 19 partecipazioni.

 

Rafa era mutande aggiustate, bottigliette spostate millimetricamente per ragioni di scaramanzia, versi e pugnetti e vamos sin da quando, ancor prima di Barletta, vinse la sua prima partita nel circuito Atp, nel torneo di casa, a Maiorca. E le scarpe, i calzoncini a pinocchietto (stavano bene solo a lui, erano ridicoli su tutti gli altri), le canotte variopinte, le fasce della Nike, erano tutto quel che un suo tifoso avrebbe agognato come regalo di compleanno o a Natale. “E' stato un onore. Speravo che questo giorno non arrivasse mai”, gli ha scritto Federer. L'unico, insieme a Djokovic, di cui Nadal ha voluto mostrare qualche frame dicendo addio al tennis. Mentre Sinner ha parlato di “notizia dura per tutto il mondo del tennis e non solo. Ci ha insegnato a rimanere umili”

 

Il congedo vero sarà in Coppa Davis, a Malaga. E noi in Davis avemmo la fortuna di vederlo sfidare l'Italia a Torre del Greco, nel 2005. Ingiocabile come sempre. Insomma quel ragazzino che scriveva emoji sul telefonino s'è fatto campione, poi uomo, poi leggenda e poi, adesso, tra poco, ex giocatore. Goderselo è stato un privilegio.

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  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.