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Il Foglio sportivo

Gentile dalla depressione alla felicità

Umberto Zapelloni

Dieci anni dopo lo scudetto con Armani è tornato a Milano con l’Urania. E si racconta

Sono passati dieci anni dal primo scudetto dell’era Armani. E il capitano di quella Olimpia è tornato in città. Alessandro Gentile dieci anni dopo si è fatto uomo, è diventato padre e, quando racconta del piccolo Dusan, vedi quei suoi occhi scuri e profondi sprigionare felicità. Per ricominciare a quasi 32 anni ha scelto l’Urania, la seconda squadra di Milano, arrivata in A2 con ambizioni di playoff e con una casa come il vecchio Palalido, oggi Allianz Cloud, da far invidia a molte squadre della serie superiore. Nel 2014 aveva completato un cerchio. Suo padre Nando, uno degli uomini del miracolo degli scugnizzi a Caserta, era stato l’ultimo capitano a vincere uno scudetto con Milano nel 1996. Quasi vent’anni dopo suo figlio, con lo stesso numero 5, sempre indossato in onore del padre, era diventato il simbolo della nuova Milano griffata Armani. La sua foto con le braccia al cielo occupò la prima pagina della Gazzetta dello Sport come non è mai più successo al basket italiano. Sembrava l’inizio di una storia meravigliosa, proseguita arrivando a un soffio dalle Final Four di Eurolega e a un secondo scudetto. Poi, però, qualcosa si spezzò. Ale perse i gradi di capitano, la sua storia d’amore con l’Olimpia finì. Ma quella squadra con Luca Banchi in panchina e lui, Melli e Daniel Hackett a completare la spina dorsale italiana, si sgretolò troppo in fretta. “Ci sentiamo ancora, Samardo Samuels è appena stato qui a comprare casa, Moss l’ho rivisto da poco quando abbiamo giocato con Brescia, con Jerrells ci telefoniamo. Con gli altri capita di scriverci. Era un bel gruppo, quello scudetto rimane il mio ricordo più bello, quella squadra era entrata nel cuore della gente che si identificava in noi”.

Dopo Milano per Ale cominciò un giro d’Europa che lo ha portato ad Atene, Gerusalemme, Madrid con tappe a Bologna, Trento, Brindisi, Udine, Varese e Scafati. Un girovagare anche alla ricerca di se stesso. E quest’estate il ritorno a casa, anche se per lui casa significa quella dove abitano i suoi genitori in provincia di Caserta. “Mi è piaciuto il progetto dell’Urania, un progetto sano, serio, in un campionato competitivo con tanti italiani in campo. E poi a Milano avevo comprato casa nel 2016: è stata una scelta sportiva e anche di vita. Milano ha avuto un ruolo importante, grande, nella mia vita”.

Superati i trent’anni per uno sportivo è tempo di bilanci: “Sicuramente ho avuto alti e bassi, tanti bei successi e tanti momenti difficili. Se devo dire se sono contento di dove sono e chi sono ora, rispondo di sì perché sono contento del percorso, anche se essendo un ragazzo ambizioso so che si può fare sempre di più. Ma anche le batoste negative mi hanno aiutato a migliorare come persona e sono felice di quello che sono diventato. Tra i venti e i trent’anni c’è un abisso. Ci sono cose che non rifarei, ma credo che questo discorso valga per molta gente, perché dieci anni fa non avevo la testa di oggi. A vent’anni sei più istintivo, crescendo gestisci meglio certe situazioni”. La storia con l’Olimpia è stata bellissima, ma è mancato il lieto fine: “A Milano penso di aver fatto un bellissimo percorso anche se non è finito come volevo. Però vincere da capitano il primo scudetto dell’era Armani, vincere quattro trofei a vent’anni, non posso non essere soddisfatto. Poi certo la fine del rapporto in quel modo ha creato degli scompensi e ci sono stati più bassi che alti nella mia carriera”. Per restare a Milano perse anche il treno Nba: “Ero super felice a Milano. Non so dire se rifarei la stessa scelta, ma in quel momento e con quello stato d’animo sono stato felice di esser rimasto”.

A quel punto la sua vita è cambiata. Dentro e fuori. È caduto (anche realmente) per risalire. Ha dovuto fare i conti anche con la depressione, ma non lo ha nascosto, lo ha raccontato per far capire agli altri come superarla, come farsi aiutare. Un comportamento da capitano. “E’ stato un susseguirsi di eventi dentro e fuori dal campo. Ero stato proiettato in un mondo di adulti molto presto, subito sotto i riflettori, non ho avuto il tempo per crescere e maturare abbastanza per gestire determinate cose e reggere la pressione. È stato bello cominciare così giovane, essere già al mio sedicesimo anno da professionista, ma poi c’era l’altro lato della medaglia. Sono andato in depressione”. E ha imparato tante cose: “È un argomento molto importante e tanta gente anche fuori dall’ambiente, mi ha scritto per parlarne. Ho cominciato un percorso che sto ancora facendo per conoscermi bene, migliorarmi come persona e essere più buono con me stesso. Sono sempre stato esigente, ho sempre avuto grandi aspettative da quando ho cominciato a giocare nella scia di mio padre che era stato un grande giocatore. Dovrei essere un po’ più misericordioso con me stesso, anche se forse non è la parola giusta, credo renda l’idea. Ho superato la depressione che covavo dentro di me da un po’, ma è esplosa nel periodo del Covid, con l’aiuto della famiglia e di una professionista a cui mi sono affidato e che ancora adesso mi segue, perché ritengo giusto continuare a lavorare sulla mente e non farsi aiutare solo quando sei all’apice della crisi, come quando avevo attacchi d’ansia e di panico. Bisogna lavorare giorno dopo giorno”. Sul corpo come sulla mente. Ma la ferita interiore non è stata l’unica: “Come se non fosse bastata la depressione, l’estate dopo è arrivato un infortunio pazzesco. Era in vacanza a Formentera a luglio, quando il balcone in legno a cui era appoggiato nella villetta che aveva affittato, si è rotto. È precipitato nel vuoto di schiena da tre-quattro metri. “Mi ritengo un ragazzo fortunato. Poteva andare peggio, invece a dicembre ero già in campo a Udine”.

E adesso tocca ad un nuovo Gentile. Più sereno, in pace con se stesso, più uomo: “La mia vita è molto più grande della pallacanestro. Ci sono degli episodi che ti riportano alla realtà. Il Covid, l’incidente, la paternità ti avvicinano al mondo reale mentre nello sport vivi in un mondo un po’ ovattato.  Il basket è ancora importante e mi piacerebbe averlo anche nel mio futuro perché insegnare ai giovani è una cosa che mi attira molto. Provo gioia a vedere un ragazzo che si impegna,  vuole imparare e crescere e arriva ad avere le sue soddisfazioni. Non ho la presunzione di voler essere l’esempio per qualcuno, ma so di avere l’esperienza per poter dare dei consigli”. Aspettando la terza generazione dei Gentile (anche suo fratello Stefano oggi a Trapani ha un figlio maschio), pensa all’Urania che ha cominciato con tre vittorie la stagione: “Non vogliamo precluderci la possibilità di sognare. Il primo obiettivo sono i playoff, poi vedremo”. 

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