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Il Foglio sportivo

Istruzioni per l'uso del Var, senza esagerare con i rigori 

Marco Gaetani

Gli arbitri troppo spesso preferiscono non decidere, aspettando la moviola. È anche un problema di personalità, debolezza e poco coraggio, lasciando in panchina tutto l'istinto e il sentore tipico per gestire al meglio una partita

In principio fu Tammy Abraham: un pestone a Vasquez, il pallone che arriva a Zaniolo, il gol da fuori area. Quasi cinque minuti dopo, il responso del Var: on field review per Rosario Abisso, la situazione con l’inglese protagonista era codificata. Fu in quel Roma-Genoa, in un giorno di febbraio del 2022, che il calcio italiano iniziò a familiarizzare con la dicitura inglese di quello che, per decenni, qui era stato sempre chiamato col suo nome, pestone. Da quel momento, lo step on foot è entrato nelle case degli italiani come un parente sgradito, di quelli che appaiono con lacerante puntualità in occasione delle feste comandate: tutti sanno cosa accadrà, è una prassi scritta. Eppure il weekend di campionato appena andato in archivio ha provocato un discreto tumulto in termini arbitrali anche a causa dell’improvviso (o solo apparente?) cambio di rotta sullo step on foot, che in Monza-Roma, protagonisti Kyriakopoulos e Baldanzi, non ha portato a un calcio di rigore. A qualche ora di distanza, i tre rigori(ni) di Fiorentina-Milan non hanno fatto altro che alimentare un fuoco già abbastanza vivo di suo, contando anche l’espulsione per doppia ammonizione di Francisco Conceicao nel lunch match dello Stadium. Houston, abbiamo un problema arbitrale? Se persino il designatore, Gianluca Rocchi, si dichiara ufficialmente non soddisfatto di quanto visto nell’ultimo turno e parla dell’uniformità di giudizio come una terra promessa e irraggiungibile, evidentemente sì. Un problema evidenziato, per esempio, dall’osservazione post Firenze fatta da Paulo Fonseca, che manifesta un certo scollamento tra il regolamento mandato giù a memoria e quello che potremmo definire “spirito del gioco”: “A ogni minimo contatto è rigore, così è un circo, il calcio non è così”


“Se la percezione è quella di allenatori, calciatori e addetti ai lavori, certamente c’è un problema, lo ha confermato anche Rocchi. Mi sembra che qualcosa non quadri e lo dico anche dal punto di vista arbitrale, che è una componente che non può essere scollata da quella degli addetti ai lavori”, ci spiega Gianpaolo Calvarese, uno che ha iniziato la sua carriera quando il Var era ancora ben lontano dall’entrata in vigore e che l’ha chiusa con oltre 150 direzioni di gara in Serie A e la tecnologia già come parte integrante della procedura. “Ho paura che il Var, nato anche per semplificare la vita degli arbitri, stia allontanando un po’ gli stessi direttori di gara dalle dinamiche del calcio. A volte si è detto di inserire un calciatore in sala Var e questo lo si deve al fatto che spesso, per segmentare e oggettivizzare degli episodi, si è persa un po’ la vera lettura di un episodio, la dinamica, che deve essere alla base degli insegnamenti per un arbitro di Serie A: un direttore di gara deve conoscere i dettagli di un episodio, e i dettagli non sono i termini come imperizia, step on foot e via dicendo. Arbitrare in Serie A è difficile”, aggiunge. Sul fatto che esista un tema da affrontare è pienamente d’accordo anche Graziano Cesari, oltre 160 partite arbitrate in A prima della rivoluzione tecnologica e una lunga carriera in tv a Mediaset da analista-opinionista: “È stato un weekend da mal di denti. C’è tanta confusione, tanta approssimazione, spesso vengono completamente cambiate disposizioni date a inizio stagione e non lo riesco a capire alla luce di indicazioni che vengono fornite e sono ben chiare e facili da applicare”. 


Il tema di una linea guida da seguire è uno dei più interessanti tra quelli sul tavolo, ben oltre il singolo episodio. Calvarese, recuperando un passaggio di Rocchi (“Ho 46 arbitri: o metto un chip dentro ognuno di loro, oppure ognuno ha la sua testa pensante”), prova a dare un’interpretazione: “Io sono stato seduto a Coverciano, e nel rispetto della personalità di ogni arbitro sentivo il bisogno di esprimere il mio parere. Ma alla fine, il designatore di turno, penso a Rizzoli che è l’ultimo che ho avuto, stoppava tutto e indicava una linea da seguire. Noi, allora, dovevamo seguire questa linea. Ma se Rocchi dopo Lecce-Milan dello scorso anno dice che il contatto Piccoli-Thiaw è da sanzionare perché per lo step on foot non serve la volontarietà e oggi Gervasoni dice che Kyriakopoulos-Baldanzi non è da sanzionare perché non c’è volontarietà e non è fallo, la domanda è: il problema è degli arbitri o di chi insegna agli arbitri? Abbiamo appena vissuto gli episodi Nuno Tavares-Dodò e Sergi Roberto-Lazovic, con la chiamata al monitor su uno step on foot per indicare all’arbitro un grave errore. Da adesso in poi, questo contatto come va trattato dai direttori di gara? E come va commentato da parte nostra?”. 


Richiami temporali vicini e lontani che portano Cesari a dire che la decisione di Monza ha dell’inspiegabile: “Non ho idea di cosa sia cambiato. Non capisco come si sia arrivati a dire che quel contatto non sia da fischiare per via dell’involontarietà, non sta scritto da nessuna parte. Stiamo a guardare la porzione di piede presa, non capisco, è assolutamente punibile. Le disposizioni date da Rocchi a inizio ritiro erano ben precise. Capire perché accadano queste cose è molto difficile. Il Var era nato come un atto di grande coraggio, la possibilità di cambiare una decisione errata. Dal punto di vista tecnico, è un grandissimo aiuto per i direttori di gara, ma ora è un mezzo usato in modo sconclusionato”.


A preoccupare è anche una certa tendenza di arbitri e assistenti a non decidere, ad attendere il Var come deus ex machina: “Sapendo che c’è il Var, a volte si decide di non decidere ed è la cosa più sbagliata: serve il sentore del campo, la pancia dell’arbitro, ancor di più per quel che riguarda gli assistenti, che da quando devono ritardare l’alzata della bandierina hanno smesso un po’ di essere sul pezzo e non va bene, si deve tornare a essere istintivi”, dice Calvarese. E Cesari rincara: “Gli arbitri devono decidere, è la loro funzione. In questo momento, non lo fanno. Scarsa personalità, debolezza, poco coraggio, sono tutte caratteristiche che non si adattano a una figura arbitrale. Chi è debole non può fare l’arbitro. Io ho arbitrato a lungo quando si era in tre, ci sono tante situazioni sul terreno di gioco che non ti permettono di valutare in modo corretto: ma l’utilizzo indiscriminato del Var mi lascia amareggiato, vedo questi arbitri sempre col dito sull’orecchio, come se chiedessero aiuto premendo un pulsante”.  Non rimane che attendere. Con una sola certezza: che al prossimo episodio controverso, la giostra riprenderà a girare come se nulla fosse.