Il Foglio sportivo
Il coraggio e la fiducia sono le armi di Antonio Fantin, il ragazzo d'oro del nuoto
Un anno e mezzo dopo l’operazione, ha vinto a Parigi 2024 l'oro paralimpico nei 100m stile libero categoria S6, a cui segue l’argento nei 400m stile. Medaglie che si aggiungono alle altre 5 conquistate alla Paralimpiade di Tokyo 2020
C’è una medaglia d’oro che luccica tra due cicatrici. La prima, lungo la schiena, è il ricordo indelebile di quell’11 febbraio 2005. Quando un bimbo di poco più di tre anni, viene operato d’urgenza per una malformazione artero-venosa. La seconda, che dalla nuca scende fino al collo, è del 19 gennaio 2023. “Poteva succedere tutto. Dal non tornare a nuotare, o peggio, potevo addirittura perdere la vita. Ma quel bambino che aveva paura dell’acqua e che ha trovato il coraggio di tuffarsi, questa volta, con coraggio e fiducia, è entrato in sala operatoria”. Eccolo Antonio Fantin, un anno e mezzo dopo l’operazione, mano sul cuore e inno di Mameli che risuona in tutta la Defense Arena di Parigi: oro paralimpico nei 100m stile libero categoria S6, a cui segue l’argento nei 400m stile. Medaglie che si aggiungono alle altre 5 conquistate alla Paralimpiade di Tokyo 2020.
Con l’acqua “non è stato amore a primo tuffo”. Anzi. Interi pomeriggi passati a bordo vasca mentre mamma cercava di convincerlo. “Ho fatto fatica a buttarmi e apprezzare quelle ore in acqua”. Il nuoto era fondamentale per la riabilitazione post-operatoria e il recupero fisico. Da una “forzatura” iniziale però piano piano acquisisce un senso diverso nella vita di Antonio: “È paradossale perché tra tutti il nuoto è lo sport più individuale che ci sia. L’acqua ti ovatta e ti esclude dal mondo. Però oggi è a tutti gli effetti un momento di condivisione”. Un concetto che ricorre spesso. “Qualsiasi cosa assume un valore maggiore se condivisa, anche una medaglia. Che non significa passarla di mano in mano ai tuoi amici, ma vivere tutto assieme. Condividere per me vuol dire tornare Antonio, il ragazzo di tutti i giorni”. Il ragazzo che a soli 23 anni è già dieci volte campione del mondo, nove volte campione europeo, e detentore dei record mondiali ed europei sui 50 e 100m stile libero.
È questo il bagaglio sportivo e personale che porta ai Giochi di Parigi. Con alcuni incidenti di percorso, tra cui l’ultima operazione all’altezza delle prime due vertebre. Ma tutto si affronta. Lo ripete spesso. “Di carattere sono sia molto positivo che molto spericolato. Quindi non do tanto peso a quelle che possono essere le cadute, le sconfitte o le difficoltà”. Un modo di guardare alle sfide che è anche “frutto dell’ambiente che mi circonda. Sono grato a tutte le persone che ho incontrato nel mio percorso di vita prima ancora che di sport. Penso sempre che qualsiasi cosa faccia, soprattutto nei momenti difficili, in cui tutto sembra impossibile, insieme la si supera”. E così anche l’euforia di un momento unico, come salire sul gradino più alto del podio, “più in alto di tutti”, si riequilibra con gli altri attimi “vissuti, scelti, lottati che hanno permesso di essere lì, la tua bandiera al centro, a cantare l’inno”.
C’è una persona che lo ha sempre accompagnato. L’unica che ha descritto nel suo libro Punto. A capo: Dalla malattia all’oro paralimpico. “Mio nonno mi ha insegnato tanto. In qualsiasi obiettivo e progetto, ma anche nei rapporti umani, sento di aver preso da lui”. Sono due gli insegnamenti più grandi che nonno Rino ha trasmesso, anche dopo la sua scomparsa: essere autonomi e lasciare un segno positivo negli altri. “Credo molto nell’autenticità dei rapporti, il fatto di essere diretto con le persone, di dedicarmi per lasciare una traccia, deriva da lui”. È così che costruisce le relazioni. A Bibione, la sua città, e Lignano, dove si allena. “Per me è un piacere uscire di casa e salutare prima di un mondiale o una Paralimpiade. Perché alla fine ci sono loro. Chi apre la piscina quando devo nuotare alle cinque di mattina o il giorno di Natale. È autentico, vero. E lo sento”.
E poi il rapporto con Antonio. Sé stesso. A tratti istintivo e impaziente. Che “deve fare le cose subito, generalmente con grande entusiasmo”. Sempre alla ricerca della novità. Anche perché i nuovi inizi sono stimoli per migliorare. In equilibrio sulla sottile linea tra sogni e obiettivi. Che è diventata un po’ il suo punto di riferimento nel continuum tra sport e vita. “I sogni sono impossibili da raggiungere. Se rimani sul piano dei sogni non ce la farai mai. Perché per definizione sono su un livello diverso, sono troppo grandi per noi. Mentre gli obiettivi sono sogni che riusciamo a portare al nostro piano. E portandoli al nostro piano ci permettono di sentirli, toccarli, vederli molto più vicini a noi. Di trasformare quel qualcosa di irrazionale, entusiasmante e emozionante, che sono i sogni, in qualcosa di più schematico, razionale e ponderato”. Pensieri che nascono da quella prima cicatrice. Da quel bimbo a bordo vasca al quale “direi semplicemente grazie. Perché era molto più bravo del ragazzo di oggi. E perché è sempre stato costante. Anche nel saper e sapersi aspettare”. Con coraggio. E fiducia.