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Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Marco Van Basten, l'irripetibile

Alessandro Bonan

Era alto quasi un metro e novanta, ma il suo corpo si allungava anche oltre, a seconda delle necessità. A tratti diventava altissimo, quasi un grattacielo, osservando dall’alto lo sviluppo dell’azione per muoversi laddove pareva redditizio

Per quanto un centravanti debba soprattutto sognare (scusate, segnare), a me non basta, io voglio di più. Non è per la naturale evoluzione del gioco, che porterebbe i 9 a partecipare alla manovra con maggiore continuità rispetto al passato. No, non è per questo. Io voglio di più sul piano estetico. Lo scrivo oggi pensando a l’altro ieri, giorno in cui Marco Van Basten ha compiuto 60 anni. Di lui mi torna in mente il portamento, quell’ondeggiare di ballerino di bachata lenta (quell’anca un po’ sbilenca). E poi la disinvoltura nel trattare il pallone, tra i suoi piedi attaccato a un filo. Ma di Van Basten ricordo anche l’essenzialità del gioco, i nessun fronzoli, né barocchismi inutili. Le sue erano movenze in funzione del gioco e poi, come conseguenza logica, del gol. 

 

Van Basten era alto quasi un metro e novanta, ma il suo corpo si allungava anche oltre, a seconda delle necessità. A tratti diventava altissimo, quasi un grattacielo, osservando dall’alto lo sviluppo dell’azione per muoversi laddove pareva redditizio. Da quelle altezze colpiva di testa limpido, senza nuvole. Da quelle altezze coglieva l’attimo più giusto, con un senso dell’anticipo inevitabile, considerando la sua visione superiore. Non si rimpiccioliva mai, nemmeno quando si sdraiava sull’erba dopo una rovesciata acrobatica. Era intero sempre, ma flessibile come una canna al vento, e come facesse non si sa. Le sue caviglie non lo hanno mai sostenuto abbastanza ma nonostante il perno gli fosse debole, lui si arrangiava soprelevandosi. Van Basten è stato l’immenso che nemmeno il più vicino Ibra ha mai toccato. 

 

Se guardo i centravanti di oggi, limitandomi ai migliori, noto una grazia mancata, una goffaggine quasi genetica, come se il dna di tutti i numeri nove della terra avesse ricevuto la visita di un tarlo. Se Marco Van Basten era impossibile, nessuno, di quelli in campo adesso, “tende all’impossibile”, per dirla con le parole del poeta. Zlatan Ibrahimovic, piccolo paradosso, ha giocato gli ultimi anni con la stessa concisione che aveva il cigno olandese, tralasciando il superfluo, unico limite del giovane Zlatan. Delle mosse di Van Basten ci resta qualche bagliore dentro filmati nebbiosi, ma chi vi scrive lo ha potuto apprezzare anche dal vivo, quando gli avversari si inchinavano alla sua classe, come sudditi. L’epilogo se lo ricordano in tanti, quando si presentò a San Siro con il giubbotto di renna dicendo con una freddezza disarmante, quasi testuale, “finisco qui, è stato bello”. Si, è stato bello e irripetibile, purtroppo.

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