FACCE DISPARI
Lorenzo Radice, l'ex manager che insegna la spada a chi non vede
Ex campione di scherma e manager, ha rivoluzionato la sua vita fondando una palestra inclusiva in cui disabili e normodotati si allenano insieme a Milano. Intervista
Non è stato, quello del maestro Lorenzo Radice, uno dei tanti “Piani B” ammanniti dai giornali, per istigazione criminogena, a impiegati e commesse stanchi della routine, che in assenza del ceffone di un mentore smagato, come nel “Quo Vado” di Zalone, rischiano davvero di rinunciare al posto fisso col miraggio di leggiadri e lucrativi lavori su spiagge caraibiche o in campagne di perenne primavera.
Milanese, classe 1971, giovane campione italiano di scherma costretto ad appendere la spada per necessità della vita, Radice s’avviò dopo la laurea in Economia alla Cattolica a una brillante carriera che lo portò a diventare top manager di grandi aziende, finché il suo daimon – quel che James Hillman chiama “la ghianda” – non cominciò a suggerirgli di cambiare. Una diagnosi di Alzheimer alla mamma, che lo costrinse a vivere con lei, e un’illuminazione mentre andava a Santiago di Compostela lo ricondussero alla passione per spada, sciabola e fioretto. Finalmente, nella primavera 2019 Radice inaugurava l’Accademia Scherma Milano in zona Isola. Oggi conta quasi trecento tesserati con un’aliquota importante di atleti in carrozzina, non vedenti e ragazzi con disabilità cognitive, uniti nella pratica agli schermidori normodotati. L’impegno di Radice è stato ricompensato con l’Ambrogino d’oro nel 2022 ed è stato ricevuto dal Papa con i suoi atleti.
Come cominciò tutto?
Cominciai con la vittoria di due titoli italiani di spada e la partecipazione alle gare mondiali. Però, appena laureato, la morte di mio padre mi obbligò ad accantonare la scherma per lavorare.
Come cambiò tutto?
Quando a mia mamma, donna piena di energie, che aveva girato il mondo, diagnosticarono l’Alzheimer. M’ero appena separato e mia sorella aveva i figli piccoli. Così tornai ad abitare da lei. Il decorso di una malattia degenerativa è impegnativo: assisti una persona che ogni giorno perde qualcosa. Non bastava più l’aiuto dei parenti, di una badante. Mi ritrovai a compiere una scelta etica con il lavoro. Sono sempre stato uomo di fede ma a quel punto andai in crisi e decisi di fare il pellegrinaggio a Santiago. Una sera, guardando le stelle, capii che dovevo rientrare nel mondo della scherma. Cominciai a insegnare in una palestra una volta a settimana a due ragazzi in carrozzina. Intanto, superavo i corsi e gli esami per diventare maestro.
Quando lasciò il lavoro?
Nell’autunno 2017 mi chiesero di gestire una complessa ristrutturazione aziendale, ma non me la sentii. Così fui ristrutturato io. Nel 2018 assieme a un amico, a mia sorella e mio cognato fondai l’Accademia Scherma Milano. Il primo anno eravamo pochissimi, con sei atleti non vedenti e due in carrozzina ospitati in un circolo anziani che ci abbonò l’affitto. Nel marzo 2019 comprammo i locali investendo i nostri risparmi. Aprimmo a tutti, disabili e non, poi arrivò la pandemia, ci fu il lockdown ma non ci scoraggiammo. Tenevamo lezione online tutti i giorni e alla riapertura c’è stata la crescita, la partecipazione alle gare, l’attivazione di nuovi corsi.
Quali?
Ce n’è uno al mattino per malati di Alzheimer. Un impegno generato dalla sofferenza di mia madre, che ha cambiato la vita mia e di mia sorella Laura. Teniamo anche corsi riabilitativi, come quello per donne operate di tumore al seno per facilitarne il reinserimento dopo un trauma che lascia tracce pure psicologiche.
Come conciliate normodotati e disabili?
Da noi la scherma è aperta a tutti, dagli allievi di sei anni agli ultrasettantenni. Alleniamo i normodotati anche a tirare seduti in carrozzina o bendati, per renderli consapevoli della fortuna che hanno e per dare il giusto peso ai problemi della vita. Mettersi nei panni di una persona diversa vuol dire capirla, accettarla, diventarne amici.
Svolgete attività esterne?
Per esempio al centro diurno Cascina Biblioteca nel Parco Lambro, per i ragazzi con disabilità fisiche e cognitive; nei centri della Fondazione Don Gnocchi; all’Istituto Gaetano Pini, nell’Unità spinale, dove insegniamo scherma a chi ha subìto una lesione midollare. Il nostro tecnico è paraplegico da decenni per un incidente ed è l’esempio lampante che ce la si può fare. E poi tante collaborazioni, oltre alle visite nelle scuole di atleti paralimpici per far capire, banalmente, perché non parcheggiare un’auto con le ruote sul marciapiede.
C’è spazio per un paio di aneddoti.
Il caso di Marcos detto Kiko, spagnolo non vedente che non ha avuto più la possibilità di allenarsi nel suo Paese, sicché viene una settimana ogni due mesi ospite nostro. L’anno scorso è arrivato secondo al campionato di spada italiano e ha vinto il titolo spagnolo. Poi c’è Gabriele Albini, ventitré anni, studente di Ingegneria medica, terzo al campionato italiano paralimpico. Convocato agli allenamenti della Nazionale, vorrei portarlo ai Giochi paralimpici di Los Angeles 2028. Le Olimpiadi erano il mio sogno ma non potei prendere un anno sabbatico da dedicare alla scherma. Ora il sogno si è trasferito su Gabriele, che magari lo realizzerà per tutti e due.
Chi sostiene l’Accademia?
Nessun benefattore, i soldi li abbiamo messi noi ma abbiamo due sponsor cui rendicontiamo tutto. Stampiamo il bilancio sociale e abbiamo stampato un codice etico indispensabile per chi frequenta l’Accademia. Quando lo mandai al Papa ne rimase colpito e volle riceverci.
Cosa le disse?
“Stai facendo una cosa bellissima, cercheranno di metterti i bastoni tra le ruote ma non fermarti mai”.