Il Foglio sportivo
Gianfranco Zigoni il ribelle in pelliccia
Il racconto dei suoi 80 anni, dai dubbi religiosi allo studio di Platone e Kant. Palleggiando con Pasolini, fino all'incontro con De André, senza mai smettere di sentirsi una leggenda. Intervista allo storico attaccante
Gianfranco Zigoni è appena uscito dalla sua casa di Oderzo e si incammina, come fa tutti i giorni, verso il circolo ricreativo dove all’esterno campeggia da poche settimane un murale con il suo volto. Un concittadino in bicicletta lo sorpassa appena e gli urla: “Zigo, guarda come cammini ancora bello dritto, sembri un cinquantenne”. L’ex calciatore di Juventus, Genoa, Roma e Verona scuote la testa: “Ma cosa ti meravigli, io sono leggenda!”. “Stai arrivando a una cifra tonda, Zigo”. “Non rompere i coglioni anche tu, lunedì chiudo il telefono e non rispondo a nessuno. La festa si fa quando nasce un bambino, non quando uno compie ottanta anni”.
Lunedì 25 novembre Gianfranco Zigoni diventa ottuagenario, rimanendo fedele al se stesso di quando da calciatore negli anni Sessanta e Settanta non sopportava gli arbitri, prendeva squalifiche da record e si sedeva (l’ha fatto una volta) in panchina con indosso una pelliccia e in testa un cappello da cowboy. Quest’ultima è l’istantanea di una carriera, basta digitare il suo nome su Google e quella risulta essere la sua foto più diffusa. Un’icona lo è diventato in quel momento. Al Bentegodi si giocava Verona-Fiorentina, Zigoni torna disponibile, guarda caso da una giornata di squalifica, e l’allenatore Ferruccio Valcareggi preferisce far giocare in attacco la coppia Luppi-Marchi, lasciando fuori il suo pupillo. È febbraio, fa freddo e Gianfranco opta per un abbigliamento poco consono per la Serie A di allora come per quella di oggi. C’è da vincere una scommessa fatta in spogliatoio con i compagni.
In quel periodo, ma anche adesso che fa ottant’anni, Zigo si sentiva più forte di Pelé ed era amatissimo dai tifosi dell’Hellas: “Dio Zigo, pensaci tu”. L’attaccante ribelle fu anche uno dei protagonisti della Fatal Verona che nel 1973 fece perdere lo scudetto al Milan con un’incredibile vittoria per 5-3 passata alla storia. Arrivato davanti al murale, sembra commuoversi. “L’hanno realizzato degli amici – racconta al Foglio Sportivo – io non avrei voluto, mi sento a disagio quando lo vedo. Cosa ho fatto per meritarlo? Sono stato solo un calciatore, ok, il più forte di tutti. Ma non conta nulla, io sono nulla e non mi frega un cazzo di nulla”. All’interno dello spazio ci sono gli amici, un televisore che fa vedere le partite. “Qui soprattutto si mangia salame e si beve vino. Il calcio mi ha stufato, seguo solamente le mie squadre, Verona e Roma, l’Inter per cui tifavo da piccolo e le formazioni dove c’è mio figlio Gianmarco, ora al Taranto”.
Come era il suo calcio? “Un tempo il calcio era più povero ma più sicuro, ti promettevano un milione di lire e te lo davano. Il procuratore? Sì, io avevo quello che mi procurava damigiane di raboso. Sarei miliardario oggi se ne avessi avuto uno per davvero, essendo stato io il miglior giocatore al mondo, Maradona è arrivato dopo. Non mi sono mai interessato ai soldi, io sul denaro ho vinto, mentre George Best ha stravinto. Certo oggi averne avuto qualcuno in più, mi sarebbero serviti, ma non per me stesso, per poter donarli ai poveri, alle famiglie con bambini che ne hanno bisogno. Magari anche per lasciare qualcosa ai figli e nipoti per una vita più rilassante, i giovani di adesso hanno mille problemi, un tempo la vita era più lenta. Ora i ragazzi quasi non sognano più”.
Gianfranco da piccolo non sognava di fare il calciatore, ma il falegname, perché sia un fratello che un cugino lo erano, il legno e i boschi gli sono sempre piaciuti. Poi però dopo aver iniziato a giocare a pallone nel patronato dietro casa, lo chiama il Pordenone, che aveva allora un legame diretto con la Juventus. Il passaggio a Torino fu quasi scontato per un ragazzino con quel talento. “Piansi perché non volevo uscire dal mio Bronx. Quando arrivai a Torino, vidi per la prima volta in vita un tram. A casa ho una foto di quella formazione bianconera. Tanti dei miei ex compagni sono scomparsi, siamo rimasti vivi solo io e Gino Stacchini. Quando muore un ex calciatore io sto male per giorni, sono fatto così. Ho provato dolore per Aldo Bet, Anastasi, Ginulfi, Vendrame, Mascetti.. Toccandomi i coglioni, io sto bene, spero solo di morire prima dei figli e nipoti”.
Negli ultimi anni Zigoni per sua scelta personale è uscito raramente da Oderzo, che definisce “la mia patria”. Si muove a piedi per il paesotto trevigiano, raramente prende l’auto e quando lo fa in automatico si accende il cd di Fabrizio De André. “L’ho conosciuto quando giocavo con il Genoa, un paio di volte è venuto a salutarci. Avrei scoperto più tardi che ero uno dei suoi idoli. Se n’è andato troppo presto, aveva 58 anni e andava per i 59, esattamente l’età in cui è scomparso mio padre. Ascolto sempre La Buona Novella, disco nel quale ci sono canzoni spirituali. Io mi definisco un buddista anarchico. Fatico a credere in Dio anche se ci provo, la ricerca è lunga e difficile. A messa non ci vado, mi annoio troppo, in chiesa vado solo quando un amico sale al cielo. Credo comunque più in Dio che nell’uomo, pensa quanto poco credo in quest’ultimo. Se dovessi fare una scommessa direi che Dio non esiste, sennò i bambini non morirebbero in guerra. I preti mi dicono che è tutto un disegno. Sì, ma un disegno del cazzo”.
Zigoni nella sua vita ha avuto l’occasione di conoscere anche Pier Paolo Pasolini. “Nel 1972 in una partita di beneficenza ho giocato con lui, non ero a conoscenza del fatto che ci sapesse fare con il pallone. Invece mi ha fatto un cross di esterno destro e io ho fatto gol di testa. Madonna, Pier Paolo, questo è un colpo da Serie A. Ma mi prendi per il culo? mi chiede il poeta. Non mi permetterei mai! E ci siamo abbracciati. Ho visto nei suoi occhi una gioia incredibile. Tre anni dopo ci sarebbe stata la sua tragica morte. Nel frattempo avevo passato insieme a lui una nottata al King’s di Jesolo, la discoteca, non a parlare di calcio. Ma di filosofia”.
Zigoni dice che al pomeriggio legge ancora molto. “Io sono un genio in tutto. Hai letto la poesia che ho scritto? Studio Platone, Aristotele, Hesse, Kant. Ma mi diverto ancora guardando i film di Totò, in casa avrò 50 sue videocassette. Appena Totò apre bocca, io mi sento felice”. Senza usare il cellulare per gli auguri: buon compleanno, Zigo.
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