Il Foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza
Pep Guardiola, vittima del genio
Cupo e graffiato, offeso da se stesso. A fronte di continue sconfitte l'allenatore si è fatto del male, prima sul campo e poi davanti alle telecamere, spiegando male il suo dolore. Ha sempre vinto abituandosi al successo, e questo probabilmente lo ha condotto dentro un territorio desertico
Sembrava l’autoritratto di una passione. Cupo e graffiato, offeso da se stesso. Guardiola si è fatto del male, prima sul campo, perdendo ormai costantemente e autoinfliggendosi una pena corporale, poi davanti alle telecamere, spiegando male il suo dolore. Che succede Pep? Nessuno può saperlo con certezza, solo supposizioni. Nella notte dei tempi, Van Gogh si tagliò un orecchio per motivi mai ben precisati. Era malato il genio, e forse quella era la spiegazione reale. Fatto sta che si ritrasse con la benda sopra l’orecchio, nel famoso dipinto realizzato all’ospedale dove era stato ricoverato in condizioni pessime.
L’immagine di Guardiola (foto tratta dalla tv) mi ha ricordato quel quadro, tanto era triste e malinconico. Guardiola mi ha trasmesso stanchezza e vita stressata. Mi sono chiesto nuovamente chi sia e che cosa abbia rappresentato nel calcio. È stato (ed è) un pensatore, un intellettuale prestato al gioco, uno dei pochi veri strateghi della panchina, insieme a Rinus Michels, il quale però non ebbe tutta quella pressione addosso che invece ha inseguito lo spagnolo nella sua carriera.
Guardiola ha giocato a calcio in maniera piuttosto normale, ordinata mi verrebbe da dire, e poi da allenatore ha stravolto il suo modo di essere. La sua inclinazione era evidentemente la stessa di un pittore a cui qualcuno desse una tela sui cui dipingere e creare. Lo ha fatto in panchina, trascurando la normalità per abbracciare l’eccezionalità. Ha introdotto il tiki taka, immaginando di giocare come in cortile, dove la palla viaggia in spazi brevi, disponendo di fenomeni che nascondevano il pallone per tutta la partita. Poi, mille altre geniali intuizioni, come il famoso “falso nueve” per fare spazio a Messi, stappando la squadra di un inutile (bestemmia) Ibrahimovic.
Guardiola non ha inventato nulla, ma interpretato tutto con intuitività prodigiosa. Ha sempre allenato squadre fortissime, e questo è un fatto, ma le ha rese invincibili, dominanti; squadre con uomini sparvieri, audaci e imprevedibili, rapaci del pallone. Ha sempre vinto abituandosi al successo, e questo probabilmente lo ha condotto dentro un territorio desertico, senza riferimenti precisi, solo illusori, come un palmizio sotto una duna, il classico miraggio di chi ha sete. Perché non si può vincere sempre, è contrario allo sport e anche alla vita. Van Gogh era talmente ossessionato da se stesso da ritrarsi anche in momenti osceni, come quello del taglio all’orecchio di cui (forse) era l’autore. In alcuni suoi ricoveri gli venne impedito di dipingere. Nessuno faccia la stessa cosa con Guardiola. La sua arte ci serve per continuare a pensare che il calcio sia anche “il genio”.