Il Foglio sportivo
Come investire sul calcio giovanile. Incubatore di valore sociale ed economico
In Italia un giovane giocatore arriva alla massima categoria molti anni più tardi rispetto ai campionati esteri. Serve un ribaltamento di paradigmi, spazzare via con coraggio ipocrisie e alibi che da venti anni indeboliscono il settore. Giro di pareri
L’insidia è credere che il calcio giovanile sia solo una via di passaggio, lungo la strada verso il pallone che conta. Più pedagogico, sebbene non ancora esaustivo, pensarlo come incubatore degli uomini che verranno. Perché, per dare dignità piena al pallone dei ragazzi, occorre pensarlo anche come punto di arrivo, un po’ come a volte avviene al di là dell’uscio di casa. Tanto che, “il direttore tecnico delle giovanili dell’Ajax non è interessato ad andare in prima squadra. Anche perché, nella posizione che ha, guadagna bene e non gli serve ambire ad altro”.
Un ribaltamento dei paradigmi, insomma, rispetto alle abitudini del nostro calcio. Che induce a essere pronti “semplicemente a copiare”, per dirla con Demetrio Albertini, presidente del settore tecnico della Figc. È il tweet di ‘Calcio e futuro - prospettive di sviluppo e formazione del calcio giovanile’ che nell’Lca Building di Milano ha messo di fronte allo specchio il calcio di oggi, chiedendogli cosa vorrà essere domani.
Una pedata alle ipocrisie e un assist alla concretezza, anche perché “da 20 anni sento solo alibi. Alibi che diventano convenienze”, spiega ancora l’ex Milan. Secondo il quale concretezza vuol dire “istituire regole per cui gli italiani costino di meno. Ma non abbiamo coraggio. Una volta giocavi il Torneo di Viareggio e i profili del mercato erano i ragazzi che uscivano da lì. Oggi il mercato interno non c’è più. E infastidisce il qualunquismo di chi liquida il tutto dicendo che non ci sono più talenti di casa nostra”. Alibi, per esempio, è anche sostenere che serve un grande evento per fare una rivoluzione, come successe per gli stadi durante Italia ‘90. “Sì, il nostro ultimo grande evento. Peccato che in Spagna la situazione non sia questa e loro l’ultimo Mondiale l’abbiano ospitato nell’82”.
Serve, insomma, gettare la maschera per valorizzare il calcio giovanile, “creatore di valori e di valori economici”.
Ovunque, anche in Italia. Dove però un giovane calciatore arriva mediamente 24enne ad avere 100 partite nella massima categoria, con due anni di ritardo rispetto a un giocatore impiegato in un campionato estero. “Il calcio rumeno non è quello italiano, è vero: ma io le 100 partite in prima serie le ho collezionate già a 17 anni”, racconta Cristian Chivu, tripletista dell’Inter e nelle ultime 6 stagioni allenatore proprio del vivaio nerazzurro. “Se ero pronto, giovane com’ero, a esordire nel campionato rumeno? Certo che no”, continua Chivu, passato poco dopo quegli esordi agli olandesi dell’Ajax. “Anzi, arrivai come trequartista, ma c’era bisogno di un esterno sinistro di difesa. Mi resi disponibile per quel ruolo. E non l’ho più lasciato”. L’analisi di Chivu trova sponda in Andrea Stramaccioni, che il difensore l’ha allenato a Milano e che, in tempi diversi, ha come lui vissuto una felice esperienza nella Roma giallorossa. Prima di arrivare alla corte di Moratti, vive 6 anni tra Giovanili nazionali e Allievi nella Capitale: “Un giorno avviso Bruno Conti”, coordinatore del settore giovanile della Roma, “che l’anno successivo ci sarebbe mancata un’ala destra. Con il senno di poi, nella sua risposta racchiuse tutto ciò che prima c’era e oggi non più: ‘Che problema c’è? Hai provato a cambiare ruolo alla punta?’. Ecco, oggi al posto di ingegnarsi per trovare soluzioni si andrebbe all’estero a comprare quel che serve per il ruolo scoperto”.
Più che punti di vista, l’oggettività dell’algebra: su 50 miliardi di trasferimenti internazionali, da inizio anni Duemila, 3 miliardi sono risorse “uscite” dal sistema e finite in tasca ai procuratori, solo 600 i milioni quantificati come indennità di formazione ai club. Una discrasia evidente e tutt’ora in corso, anche in una realtà calcistica italiana in cui (dati 2022-23) ci sono 862mila tesserati Figc, il 65 per cento dei quali nel settore giovanile scolastico.
È evidente “quante siano le complessità e quanto sia necessaria una bussola”, argomenta Federico Venturi Ferriolo, coautore con Lorenzo Vittorio Caprara e Daniele Tosi del libro “Il settore calcistico giovanile”. “Serve un cambio di passo, il calcio non può più permettersi di rimandare. Le strutture e la competenza sono le chiavi per crescere in modo sostenibile e misurarsi con realtà sempre più complesse e transnazionali”. Tessere di un mosaico, quello di un sistema calcio efficiente, che ha bisogno di regole chiare in termini giuridici, formativi e dirigenziali. Roberto Samaden – responsabile della Sezione sviluppo del calcio giovanile del settore tecnico Figc e responsabile del settore giovanile dell’Atalanta – ha voce in capitolo per confermare che “serve managerialità e voglia di costruire. Bisogna lavorare tanto sull’ambiente, perché quel che fa la differenza è sì ciò che avviene in campo, ma anche quel che succede fuori. Il settore giovanile non deve essere mai un costo, ma un investimento. Ho letto di recente delle dichiarazioni di Angelo Binaghi”, presidente della federtennis azzurra, “chiamato a spiegare l’enorme crescita del movimento tennistico italiano degli ultimi anni. La chiave del successo, ha spiegato, è stato quando si è smesso di prendere decisioni politiche e si è pensato a fare”.
Atti pratici, insomma, come la creazione delle seconde squadre “di cui ne parlai per la prima volta nel 2010 alla presentazione del commissario tecnico Cesare Prandelli”, indica sulla timeline Albertini, sottolineando ancora la lentezza del sistema nel reagire agli stimoli. “Sono arrivato in Italia nel 2003”, rincara invece Chivu, “ho vissuto qui la vittoria di un Mondiale e di un Europeo. Ma a livello di scelte si è fatto poco: anche all’estero ci sono problemi, però lì hanno forse più creatività e coraggio nel far crescere il movimento. C’è più curiosità e voglia di migliorare”. Gli investimenti, insomma, devono prendere differenti indirizzi: infrastrutturali, con strutture in grado di coltivare talenti sportivi, ma anche percorsi formativi fuori dal campo, e di approccio. Che poggiano su una semplice regola di buon senso, riassunta da Stramaccioni: “A 8 anni non serve tanto un allenatore, ma una persona chi sia capace di tirarti fuori l’anima, farti divertire e innamorare del gioco”.