Il Foglio sportivo
Da Guardiola a Thiago Motta. L'ossessione del controllo palla non produce più nessun risultato
L’esasperazione del modello posizionale ha fatto perdere la fantasia: le squadre si mettono in gabbia da sole e trasformano le partite in soliloqui. La Juve è diventata un animale da pareggio, il City ha perso sette partite tra Premier e Champions
Chi non risica non rosica dice l’antico proverbio toscano. Ovvero, chi non rischia non ottiene nulla. E, nel calcio di oggi, c’è chi non rischia più. Chi, sull’altare del controllo, rimane fedele all’antico adagio calcistico del ‘primo non prenderle’. Solo che lo fa non più attraverso l’italico catenaccio, ma in una forma nuova, moderna, maggiormente al passo con i tempi. Vale a dire estremizzando il possesso palla. È questo, ad esempio, il caso della Juventus di Thiago Motta e del Manchester City di Pep Guardiola (e, a ben vedere, anche del Paris Saint-Germain di Luis Enrique). Tutti discepoli del gioco di posizione, di quel modello di calcio che predica il controllo del pallone e l’occupazione in fase offensiva di determinati spazi, in funzione della struttura difensiva avversaria.
All’interno di questo contesto, per Motta e Guardiola assume appunto valore fondamentale l’idea di controllare la partita. Controllare il possesso e lo spazio non è solo un modo per dettare il contesto tattico, ma anche per minimizzare la perdita del pallone. Cosa che esporrebbe le rispettive squadre al contropiede avversario, pericolo che tanto il tecnico italo-brasiliano quanto quello catalano vogliono rifuggire a ogni costo, come fosse un pericolo mortale. In effetti, se guardiamo a come il City difende le transizioni da quando non ha più a disposizione l’infortunato Rodri, ci rendiamo conto di quanto deleteri siano i ribaltamenti di fronte per gli inglesi. Solo che questa ricerca del controllo ha raggiunto in Juve e City dei livelli parossistici, di vera e propria ossessione. In nome della quale si sacrificano altri aspetti fondamentali del gioco del calcio, a partire dalla imprevedibilità e dalla ricerca della giocata del singolo talento.
Non a caso Guardiola lo scorso anno ha spesso sostituito Jérémy Doku proprio perché l’ala belga è un amante del dribbling. Situazione che infatti tende a scomparire all’interno delle squadre che giocano in maniera simile agli inglesi e questo proprio perché il dribbling può sì creare superiorità numerica ma anche, se non riesce, risultare in una palla persa, foriera di eventuale contropiede avversario. Un altro esempio in tal senso è quello fornito da Jack Grealish. L’inglese probabilmente non valeva i cento milioni di sterline spese dal City per prelevarlo dall’Aston Villa nell’estate del 2021, ma di certo non è più nemmeno quel tipo di giocatore che faceva impazzire i tifosi dei Villains a suon di dribbling, sgroppate in verticale e giocate tecniche d’alta scuola. Inserito nel sistema iper controllato di Guardiola, oggi il ventinovenne di Birmingham (utilizzato ora da esterno, ora anche da centrocampista centrale, viste le numerose assenze per infortunio subite dal City) appare come decaffeinato, quasi più attento a non perdere palla che a inventare la soluzione vincente.
L’esasperazione del modello posizionale ha portato proprio a questo: meno giocate e maggiore controllo, a discapito della fantasia, con squadre che si mettono in gabbia da sole, trasformando le partite in soliloqui nei quali l’unica regola è quella di passare la palla. La conseguenza è che, quando si affrontano formazioni che adoperando i medesimi principi, le gare in questione diventano sempre più simili a quelle alle quali si assisteva sul finire degli anni Ottanta e agli inizi degli anni Novanta, quando scendevano in campo compagini schierate 4-4-2 a zona. Ricordate la finale di coppa Intercontinentale fra il Milan e la squadra di Pablo Escobar, i colombiani dell’Atlético di Medellín? Un confronto noiosissimo, deciso quasi allo scadere dei tempi supplementari da un gol di Chicco Evani.
Ecco, i confronti fra squadre posizionali ricordano sempre più spesso quella partita. Così è stata ad esempio la sfida fra la Juventus di Motta e il Milan di Paulo Fonseca dello scorso novembre (uno 0-0 condito da tre tiri totali in porta effettuati dalle due squadre). E anche la partita di Champions League fra la Juve e il City di Guardiola, pur risolvendosi a favore dei bianconeri, è stata una contesa fra due squadre alla ricerca del controllo. I risultati recenti non danno ragione a questo atteggiamento, con la Juve che è diventata un animale da pareggio (già dieci in campionato). Al City sta addirittura andando peggio, se è vero che Guardiola ha inanellato ben 7 sconfitte fra Premier e Champions.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA