L'ex allenatore del Milan Paulo Fonseca (foto LaPresse)

la nota stonata #18

Le colpe di Paulo Fonseca

Enrico Veronese

Il Milan cambia allenatore per cercare di uscire dalla crisi di risultati. Il 2025 è alle porte e con il nuovo anno torna anche il calciomercato

Non più di quindici giorni fa queste pagine ospitavano la valutazione che era venuta maturando riguardo al Milan di Paulo Fonseca, ovvero che fosse senza una guida, senza schemi, senza una maggioranza di atleti all’altezza del blasone e delle incombenze anche internazionali. Mera gestione monocorde di un patrimonio depauperato, con crisi continue tra i giocatori di punta, la velleità di affidarsi ai minorenni per sottolineare ipotetiche colpe societarie, l’ingerenza tossica di un totem catapultato alla scrivania (Zlatan Ibrahimović) e la pazienza logicamente azzerata delle curve. Il regalo di Natale, i rossoneri, se lo sono fatti il 29, dopo la partita di tattica pallanotistica contro la Roma: ma a quale prezzo!

   

L’allontanamento del tecnico portoghese era un atto dovuto, stanti anche le relazioni incrinate nello spogliatoio, ma una volta in più stridono come note troppo acute la gestione e soprattutto la comunicazione anche televisiva della faccenda: a cavallo di un incontro importante, con il pensiero a San Silvestro e alle porte una trasferta intercontinentale per giocarsi il più inutile e malfatto dei trofei. Gerry Cardinale o chi per lui “monetizza” (verbo orribile, da cancellare) dovrebbe avere la decenza di chiedere scusa ai milioni di persone appassionate, e ammettere che solo Tijjani Reijnders e Youssef Fofana sono oggi adeguati alla maglia che indossano: non succederà, tanto più se il gruppo affidato a Sergio Conceiçao dovesse conquistare risultati lusinghieri in Arabia.

 

Emblema dell’abulia milanista sono le crisi dei centravanti: Álvaro Morata, quando sta bene, gira al largo dell’area in una funzione di raccordo che non può essere sua, e non lo rende efficace nello smarcamento e nel tiro. Tammy Abraham, quando gioca, cerca aria lungo la fascia destra – come contro la Roma – o si imbottiglia nella sua frenesia, un tempo preziosa. A Francesco Camarda, pur mentalmente coinvolto, non si può chiedere più di quanto può dare ora, anche dal punto di vista fisico. Ma la loro astinenza altro non è che lo specchio di quella sofferta da numerosi colleghi di numero e di reparto, ultimamente trasformati in trequartisti d’assalto o bypassati appunto dai falsi nove.

   

La classifica dei marcatori non vede infatti nelle posizioni di avanguardia Romelu Lukaku che sta dannando il Napoli (ma non ne può forse prescindere), Dušan Vlahović il quale si involve quando non segna, né Lautaro Martínez tornato a rete dopo tempi per lui interminabili, e ringrazia la supplenza pur intermittente di Marcus Thuram. Pure Artem Dovbyk si inceppa, l’attualmente infortunato Mateo Retegui è partito molto bene ma poi ha iniziato spesso in panchina, per elucubrazioni tattiche anche andate a buon fine, e Valentín Castellanos fa e disfa, segnando meno di quanto potrebbe. L’unica tra le prime punte a timbrare con regolarità è Moise Kean, lievitato di personalità da quando rappa con Rafael Leão.

 

Il lancio dell’album musicale tra i due talenti riporta con tenerezza al Natale di quando Alessandro Altobelli mascherava il proprio inglese centromeridionale nella sala d’incisione di “Alleluja”, l’Italia doveva ancora scoprire Ruud Gullit e i calciatori con i baffi erano quasi più di quelli senza: grazie Luca Ranieri per averli ricondotti alla memoria, anche con la tua espressione. Estetica inconsapevole, se Nicolò Rovella sfodera una prestazione totale e negli occhi scorre la tradizione dei centrocampisti biondi della Lazio, immagini-tòpos da Luciano Re Cecconi ad Andrea Agostinelli, da Claudio Sclosa a Gaizka Mendieta, da Lucas Leiva allo stesso Pavel Nedved che sta per tornare in corsa là dove le Supercoppe nemmeno servono più a lanciare il movimento.

 

È stato l’anno in cui hanno cercato di imporsi i tuttomancini: Gaetano Oristanio come John Yeboah e Samuel Chukwueze, che col destro nemmeno scendono dal treno, figurarsi circumnavigare difensori grandi il doppio di loro. Per motivi consimili, di stazza e mismatch, è possibile che tanto Rudi Garcia quanto Antonio Conte stiano cercando di vedere Giacomo Raspadori (ieri match winner dal pieno dell’area) quale interno di centrocampo: e se avessero ragione loro? La risposta, magari, al mercatino di gennaio: che, come i suoi omologhi prenatalizi nelle città, apparecchia posticce strutture di legno, zenzero e candele per attrarre col packaging ciò che non può promettere nella sostanza.

 

Là dove è uso gettare dal balcone la roba vecchia, qualcuno pensi a sbarazzarsi della “transizione”, vocabolo dell’anno per telecronisti pigri e per chi si bea nell’utilizzare concetti appena imparati, solo sfiorati, forse intercettati per caso. Se Juventus, Fiorentina, Milan e Roma hanno pareggiato l’ultima domenica per non farsi male (Elio e le Storie Tese direbbero “nel nome dell’amore”), sfangare queste ore e le prossime – prosit – potrebbe essere agevole, o almeno non insormontabile, per tutte e per tutti.

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