Il Foglio sportivo
Roma-Lazio, un derby della Capitale così non si era mai visto
La stracittadina arriva prima della Befana e i due club ci arrivano come mai c'erano arrivati prima: La Lazio ci arriva a +15 sulla Roma, che sceglie di allenarsi davanti a tremila tifosi. E c’era chi insultava Lotito per Baroni
In quasi 100 anni, una roba mai vista. Basterebbe questo per descrivere l’unicità del derby Roma-Lazio che apparecchia una notte prima della Befana da brividi. Ovvio, stiamo parlando della stracittadina romana, e tutti i superlativi appartengono al territorio. Fuori dal Grande raccordo anulare la narrazione si sfarinerebbe, rasentando l’indifferenza. Qui, invece, i 15 punti di differenza tra la Lazio e la Roma, raggiungono l’apogeo di un distacco che mai s’era visto alla fine di un girone d’andata in Serie A. Fedele narrazione dello stato di salute delle due squadre. Meglio, dei due club.
Dopo la primavera del suo scontento – all’alba del ventennio di presidenza – l’all in di Claudio Lotito al tavolo del mercato è stato coraggioso. L’addio di Maurizio Sarri e l’esonero di Igor Tudor, erano pesanti fardelli. Il senatore li ha spazzati via con la scelta di Marco Baroni. E se ad agosto il popolo laziale (meglio, una parte, la Curva Nord) invocava la “liberazione dal male”, oggi da quello spicchio di Olimpico non arrivano più cori insultanti. La Lazio lotta per la zona Champions e lo fa con protagonisti ritrovati – Nicolò Rovella e Taty Castellanos – sfoderando autentiche perle di mercato – Nuno Tavares, davanti a Fisayo Dele-Bashiru, Tijjani Noslin, Loum Tachoauna e Boulaye Dia – capaci di esaltare le puntuali rotazioni di Baroni, uno che alla prima esperienza su più fronti (Europa League e Coppa Italia), ha stupito per equilibrio, saggezza, bontà dei risultati.
Così la locomotiva biancoceleste ha acuito le tribolazioni romaniste. Dei Friedkin, dei soldi (tanti) spesi male, dei silenzi, delle scelte incomprensibili (Ivan Juric e un club senza un rappresentante a Trigoria), abbiamo già detto. Sono il biglietto da visita della stagione sbilenca, dei tre allenatori in sei mesi, dei 20 punti in classifica. La soluzione Claudio Ranieri – proprio come Daniele De Rossi, dopo José Mourinho – era l’unica possibile e, in parte, sta funzionando. Ma il momento è grave, oseremo dire apodittico, rubando la definizione scelta dal presidente di calcio di Paolo Sorrentino nel film “L’Uomo in più”. E allora, per negare i 15 punti di ritardo, lo strapotere avversario in termini di risultati e ambizioni e l’inerzia tutta dalla parte biancoceleste, quella vecchia volpe di Ranieri ha dato fondo a tutto il repertorio mai sopito del romanismo. Allenamento di mezza settimana al vecchio campo delle Tre Fontane all’Eur, con tremila tifosi che – parole di Sor Claudio – “ci fanno sentire il loro amore” e la strategica intervista al Corriere dello sport in cui, manco a farlo apposta, viene nominato Francesco Totti nel futuro prossimo di una Roma tutta da restaurare. Basterà?
A Formello regna la tranquillità di chi un derby non l’ha mai giocato (non solo Baroni), mentre a Casa Roma ci si agita con mosse e lessico rubati al miglior Mohammed Alì prima dei ring più insidiosi e dolorosi. Perché qui dove i trofei che luccicano sono pochini e le chiacchere – nel caso del derby – non stanno mai a zero, la stracittadina vale troppo. Al punto che chi, Zdenek Zeman in primis, ha provato a riportarlo nei canoni della “partita-come-tutte-le-altre” ne ha persi quattro in una stagione sola. Prepariamoci dunque a un unicum in questa notte prima della Befana: dopo nulla potrebbe essere più come prima. Ovviamente – l’avete capito – sempre e rigorosamente all’interno del Grande raccordo anulare.