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La nota stonata #18

La domenica delle domande sulla Serie A

Enrico Veronese

Dalle nuove soluzioni in campo di Gian Piero Gasperini alle prossime sfide della Fiorentina di Raffaele Palladino, fino ai dubbi più grandi sul calciomercato, mentre Balotelli continua a rimanere in panchina (salvo qualche luce contro il Napoli)

A concedere il beneficio d’inventario, le attenuanti generiche e una limitata fiducia nel genere umano, la giornata di Serie A reca con sé -e anzi consolida- una desueta attitudine a porre domande al torneo stesso e a chi ne dispone. Mentre due terzi delle squadre si sono presentate all’appuntamento del campo con i tappi nelle orecchie e le cuffie oversize per non avvertire i refoli del mercato in lento incedere, due delle rimanenti sei si sono sgranchite nell’attesa inerte e le altre quattro hanno preso il volo per disputare, largamente fuori tempo massimo e assecondando convenzioni sempre meno spiegabili, la cosiddetta Supercoppa italiana. Con quale contentezza, lo spiega la faccia di Gian Piero Gasperini, che avrebbe lasciato giù un metaforico rene anziché sospendere il naturale corso delle cose per volare in Arabia nel mezzo delle feste, tra fusi avanzati e rischi di compromettere le competizioni che contano davvero.

Se ad ogni piè sospinto il confronto tra la coppa Italia e le omologhe competizioni straniere fa drizzare le antenne a chi altro non chiede di giocare Gallaratese-Napoli e Gladiator-Bologna, nondimeno il parallelo con la Community Shield inglese traccia la strada maestra: lassù, nel calcio più ricco e seguìto d’Europa, il format è lo stesso da almeno cent’anni, e prevede lo scontro tra chi ha vinto il campionato e la coppa nazionale, in data unica nello stadio più glorioso, giusto una settimana prima di dare il via alle nuove danze stagionali. Nonostante lo smodato amore per le sterline, nessun ticchio di traslocare a Riyad, dove notoriamente il calcio non ha più bisogno di essere promosso; né alcuna gestione da fundraiser prevede di dragare ancora il già fiaccato interesse del popolo spettatore (in chiaro!) aggiungendo inopinatamente due squadre dalla precedente classifica, investigando tra le pieghe del calendario ipercompresso gli unici giorni plausibili sulla carta per organizzare la spedizione collettiva.

 

                                       



Bene ha fatto quindi il tecnico dell’Atalanta a provare nuove soluzioni, testare i calciatori meno impiegati, snobbare il risultato finale se il focus è e deve rimanere la serietà di un contesto sostenibile: era un’operazione win-win, nella migliore ipotesi avrebbe portato a casa un trofeo per la bacheca, ma comunque conoscerà meglio gli assetti anche ipotetici sopra i quali poter contare. Chi, fuori da ogni coppa o coppetta, non ha perso tempo per approfittarne è il Napoli di Antonio Conte, che ha passeggiato a Firenze agevolato dal suicidio tattico di Raffaele Palladino: perché (si diceva, le domande) cambiare modulo proprio contro la capolista virtuale? Perché concedere il debutto “vero” a tale Matías Moreno di fronte a un attacco che, seppur decimato, non si fa pregare per creare occasioni? Perché rinunciare a elementi di fantasia offensiva, che si sarebbero almeno potuti alternare? Far fare la figura del pivello settimanale a uno come David de Gea, converrà, non è cosa.

E lunedì prossimo la Viola renderà visita proprio alla squadra che ha lanciato il suo attuale allenatore, quel Monza che sta precocemente abbandonando gli ormeggi della Serie A dopo essere stato scaricato dalla famiglia Fininvest: per la prima volta fuori da quarant’anni di calcio, che hanno trasformato un Paese oltre che lo sport, conseguendo vette impensabili per la mera passione di una coppia di amici in affari. Estinto il sodalizio per natura, scontato che l’impegno diventi solo una sopportabile, superflua o addirittura fastidiosa posta a bilancio: è stato così anche a Sassuolo (ora però largamente primo nella serie cadetta), dove gli investimenti post Squinzi si sono diradati e anche una rosa non così deficitaria ha avvertito il riflusso societario, nelle strette di un bacino d’utenza infinitesimale. La domenica delle domande fa chiedere se fosse proprio ineluttabile questo epilogo in Brianza, prodromo di cessioni veloci, mal di pancia di chi resta, accantonamento di elementi in prestito, difficoltà a mettere assieme il pranzo della tattica con la cena dei risultati. La sfiducia il 6 gennaio, lo dice la storia, è il peggior viatico per ogni ricostruzione successiva.

Camminare domandando, vuolsi così finché c’è festa: perché, Milan e Bologna, avete scientemente rinunciato alle prestazioni di un esterno come Alexis Saelemakers, giunto alla maturità agonistica e tecnica, in grado di determinare le partite da ala e non solo? Che senso ha, Genoa, vagliare Mario Balotelli per settimane, sottoscrivere il suo contratto, condurlo a una forma accettabile e non servirsene praticamente mai, salvo qualche luce nel finale contro il Napoli? All’intoccabile Simone Inzaghi viene facile indagare se il fattore legato al momento possa produrre decisioni di cui presto pentirsi: Davide Frattesi, logico futuro e intermittente presente dell’Inter, può davvero essere messo in discussione se non scende in campo per due volte di fila, considerandolo fuori dal progetto e quasi benedicendo il suo approdo alla casa madre giallorossa? Thiago Motta nemmeno si domanda più se sia stato davvero il caso di zambrottare Weston McKennie, nella penuria di terzini, ringraziando la sua ubiquità che gli consente di colmare quasi ogni falla, con alterne fortune.

Tra un Venezia vorrei-ma-non-posso (altro bell’universale, Mikael Ellertsson) e l’Udinese che ha trovato la propria difesa ma non ha saputo vincere contro un Hellas Verona ridotto in dieci, ad Empoli non ha di questi problemi Roberto d’Aversa: la sua giovane coppia del goal, Sebastiano Esposito e Lorenzo Colombo, ricorda da vicino certi indissolubili legami del passato, l’affiatamento di binomi storici, altrettanto giovani e italiani, cari ad Azeglio Vicini come a Vujadin Boškov. Uno, Roberto Mancini, una volta in panchina ha condotto la Nazionale italiana a vincere il suo ultimo trofeo sulle ali del bel gioco. L’altro, Gianluca Vialli, è scomparso esattamente due anni fa e manca ogni giorno più di prima.