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Il Foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza

Serve un calcio libero, come un cavallo scosso

Alessandro Bonan

Più talento in campo e meno privazioni. Seguendo l'insegnamento del Palio di Siena, dove il fantino conta il giusto e si vive con sospetto, ma è con l'animale giusto che si può certamente vincere 

Ci sono posti in cui la luna si avvicina e pare di toccarla. Sono contorni senza un luogo, uno spazio, un tempo. Uno di questi posti è certamente Siena, città in cui mi trovo per lavoro. Da queste parti il calcio non è molto sentito, meglio il basket, almeno fino ai tempi dei fasti bancari di ben nota memoria. A Siena comunque, da sempre, ieri, oggi e domani, domina il Palio, antica corsa piena di fascino. Il Palio, se non lo vivi da dentro non lo puoi capire e quindi nemmeno raccontare, pena la ghigliottina morale a cui vieni condannato dagli stessi senesi. Per cui tocco e fuggo subito, non senza però aver posto piccole riflessioni (blasfemia pura) su certe relazioni con il calcio

 

              

 

Il Palio ci insegna che la rivalità si caratterizza dai confini (le contrade), oltre i quali, sei praticamente un nemico. Il rapporto dei contradaioli con la sconfitta è molto chiaro: se perdo io, ci può stare, basta che perdano anche i rivali. Nel calcio, pensavo, è più o meno così, la storia insegna. Ma oltre questo punto di partenza cambiano i rapporti. Ho scoperto che nel Palio il fantino conta il giusto, e lo si vive con sospetto (denaro e cose varie). Quello che conta di più è il cavallo. Perché con l’animale giusto (lo chiamano bombolone) puoi certamente vincere, ma con quello sbagliato (un brocco per intenderci, detto brenna), hai quasi zero probabilità di arrivare per primo al bandierino (per intenderci, il traguardo). Nel calcio non è così, o almeno non si racconta questo. La squadra forte senza un fantino forte (l’allenatore) non va da nessuna parte. Non so se questo è vero o è falso, non ho una risposta sicura, ma so per certo che l’intera dialettica sul mondo del pallone gira intorno a questa convinzione. 

A Bergamo, l’Atalanta sarebbe nulla senza Gasperini, a Napoli, la squadra sarebbe poco senza Conte, al Milan era (quasi) tutta colpa di Fonseca. Poi c’è la Juventus, secondo cui, nell’opinione diffusa delle ultime stagioni, Allegri era il peccato. Con l’arrivo di Thiago Motta, qualcuno ha pensato che il più fosse risolto: buono il fantino = buono il cavallo. E invece si è capito molto presto che l’uno e l’altro dovevano passare dalla partita, senza la quale ogni giudizio è inutile. Ma se nel Palio vincere non è scontato, alla Juventus, dicono da quelle parti, è l’unica cosa che conta. Per questo Allegri parlava di corto muso, pur senza intendersi di Palio, ma molto di cavalli. Sapeva perfettamente che quella era la sua missione, e il resto erano chiacchiere. Se fossi Thiago Motta, allenatore comunque con i fiocchi, ci penserei un pochino, scegliendo un calcio libero, con più talento in campo e meno privazioni. Lasciando il cavallo scosso privo del suo fantino.

 

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