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Joao Fonseca è cresciuto in fretta

Luca Roberto

Il 18enne brasiliano agli Australian Open batte per la prima volta un top ten, alla sua prima partecipazione slam. Perché può davvero diventare il terzo incomodo tra Sinner e Alcaraz

Nei giorni precedenti all'inizio degli Australian Open, c'era un meme che circolava tra gli appassionati di tennis. Il russo Andrej Rublev raffigurato in due versioni: una sorridente, una tutto incupito, preoccupato. Nella prima c'era scritto sotto: quando scopri di giocare al primo turno contro uno che arriva dalle qualificazioni. Nella seconda: quando scopri che quel qualificato è Joao Fonseca. E in effetti, grande era la curiosità nel vedere come il 18enne di Rio de Janeiro avrebbe affrontato la sua prima partita in carriera nel tabellone principale di un torneo dello slam. Per giunta, contro il numero nove al mondo.

   

La fine della scorsa stagione per Fonseca è stato uno spartiacque: ha stravinto le Next Gen Finals, cioè quel proscenio che prima di lui s'erano presi Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, negli anni addietro. E quindi l'inizio di questo nuovo anno vedeva alzarsi l'asticella delle aspettative. Eppure forse nemmeno lui sperava di essere già a questo livello. Capace di dare tre set a zero al numero nove del seeding, con 14 ace, il 73 per cento di prime palle in campo. Una capacità di rispondere al servizio avversario che a qualcuno ha ricordato proprio il nostro Sinner. 

 

Più che altro, ha impressionato la naturalezza di un diciottenne che non ha avvertito pressioni, e come ha spiegato alla fine del match, "ho continuato semplicemente a fare il mio gioco". Ovvero tirare secchiate di dritto e rovescio non abbassando mai l'intensità dei colpi. Ma dando pure sfoggio di una mano particolarmente educata, se è vero che lo si è visto persino sfoderare smorzate e back di rovescio per variare il gioco. E' la prima vittoria in uno slam e quindi andrebbe calmierato l'entusiamo di chi gli assegna già il ruolo di terzo incomodo tra l'altoatesino e lo spagnolo. Ma in quella prolusione finale, a bordo campo, spiegando che "il vero talento è il duro lavoro, come diceva Roger Federer", si riconoscono delle doti anche analitiche non comuni. Che potrebbero davvero portarlo lassù in alto continuando a bruciare le tappe.

 

Fonseca ha respirato tennis sin da quando era bambino. Di famiglia benestante, borghese, a pochi anni papà Christiano e mamma Roberta, entrambi tennisti professionisti, gli misero la racchetta in mano. La sua casa a Rio de Janeiro è a pochi isolati dal circolo in cui è ospitato il torneo della megalopoli brasiliana, che si tiene a febbraio. Lì nel 2014, quando aveva otto anni, vide dagli spalti trionfare Rafa Nadal. Da quel momento in poi ha sperato di fare questo nella vita, seguire i suoi idoli. Auspicandosi almeno in piccolo di riuscire a emulare quanto fatto da Guga Kuerten, il più forte tennista brasiliano della storia. Proprio l'ex numero uno al mondo e trionfatore tre volte al Roland Garros è stato capace di dire, non più tardi di qualche settimana fa, che "Fonseca è già al livello dei top player. Può fare meglio di me". Un'investitura che al 18enne sembra aver dato più stimoli che particolari apprensioni. E che forse l'ha definitivamente convinto che può essere un giocatore anche da superfici rapide. Ora se la vedrà con il torinese Lorenzo Sonego al secondo turno. "Io continuo semplicemente a fare il mio gioco". 

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  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.