Una Juventus a raggi X
Dalla J sbagliata ai troppi pareggi di questa stagione, fino alla cacciata senza stile Juve di Danilo. I dubbi del tifo juventino
Smaltita l’indigestione di cene aziendali, pranzi parentali e cenoni di fine anno, siamo finalmente tornati ad inebriarci con il campionato. Anche se questo, non è certo il caso della Juventus. A Torino è già un miracolo che l’allenatore, oggi come oggi – chiedere a Paulo Fonseca – abbia mangiato il panettone. Avrà dei santi in paradiso… o sarà per via del cognome. Per cui, dopo i festeggiamenti, dopo i “Buon anno!” e i “Buon Natale!” – ma, vista la situazione, sarebbe meglio dire “Merry X-mas!” – dopo tanta bontà insomma, il diavolo è tornato diavolo e ci ha offerto una portata di Supercoppa decisamente indigesta. In campionato è diverso: ora pare che "pareggiare è l’unica cosa che conta" visto che vincere è diventato uno sport X-tremo.
E dire che noi non siamo abituati alla X. Sarà perché è una delle lettere meno comuni dell’alfabeto italiano, con un’incidenza che si aggira attorno allo zero virgola qualcosa. Quando facevo le elementari, le lettere dell’alfabeto erano per tutti ventuno. Mi ricordo di aver visto altre consonati solo in alcuni giochi composti da tessere quadrate in legno che da una parte avevano un disegno e dall’altra, accuratamente pirografata, c’era la lettera iniziale dell’immagine raffigurata: solo lì comparivano la X – l’immagine era sempre quella di uno xilofono – e talvolta la Y di yogurt. K, J, W non pervenute.
Fortunatamente, chi, come me, fin da piccolo ha avuto la fortuna di essere educato alle tinte bianconere aveva una certa consuetudine almeno con la lettera J che, col tempo, si sarebbe insinuata nel profondo fino a diventare un segno amico, famigliare, degno di grande amore. Simbolo di una tradizione vincente. Il logo attuale della squadra è lì a ricordarcelo. La rivoluzione avvenne nel 2017 quando la novità fu così evidente da far pensare a un taglio netto col passato e con la tradizione. Niente di più errato. Nel nome “Juventus” i ragazzi del D’Azeglio volevano che si leggesse la loro giovane età e la cultura. Fecero però un errore: la lettera J non esiste nel latino classico: comparve nell’italiano cinquecentesco e si adattava maggiormente alle esigenze arcaizzanti dei poeti di fine ’800, che spesso usavano juventute al posto del più sobrio “gioventù”.
Il nome “sbagliato” tuttavia sembrava riassumere in sé le due anime, elitaria e di massa, di una squadra e del suo futuro mito. Deve essere stato lo stesso pensiero di InterBrand – società dal nome un po’ così… – che ideò l’attuale logo: la sola J dice tutto quel che c’è da sapere del dna della Juventus: l’iniziale del nome, le strisce bianconere della maglia e, se si guarda con attenzione, la stilizzazione dello scudetto, simbolo di vittoria. La J è la una specie di radiografia della Juve. E non potrebbe essere altrimenti, visto che nel 1897, intanto che su una panchina di Torino nasceva la Juventus, a New York Nikola Tesla teneva una lezione all’Accademia delle scienze in cui rendeva noti i suoi esperimenti sui raggi X. Del resto il fascino di quella lettera aveva già stregato l’Avvocato: "Mi emoziono ogni volta che vedo sui giornali una parola che inizia per J".
È utile dare una ripassata alla nostra storia ogni tanto. Perché, sinceramente, negli ultimi anni sembra esserci stata un po’ di confusione. Lo stile Juve sembra andato a farsi benedire. E non parlo dello spogliarello di Allegri post Coppa Italia lo scorso anno. Mi riferisco per esempio, per stare nel qui e ora, al trattamento riservato a uno come Danilo, che di questa squadra incarna i valori ed è – era – il capitano. Dal derby invece abbiamo imparato che anche la K è una lettera che conta e che anche l’ultimo arrivato può ricoprire quel ruolo. A proposito: sarebbe bello capire perché due giocatori come Teun Koopmeiners e Douglas Luiz, comprati al prezzo di due X-Men, a metà gennaio e agli albori del girone di ritorno, non abbiano ancora dimostrato di avere almeno l’X-factor.
Si stava meglio quando si stava peggio insomma: col nostro ben rodato corto muso che di certo non ci regalava sbornie di bel calcio – e infatti i punti non li perdevamo – ma almeno ci consentiva la piccola gioia di un viaggio senza troppe ansie e posti di blocco. È passato un tempo ragionevole per aspettarsi qualcosa di diverso. Anche una sconfitta andrebbe bene. Così, per il gusto di variare.
Sarebbe ora che la società e soprattutto l’allenatore ci dimostrassero di cosa sono capaci. O almeno se sono capaci. Anche perché, non può più bastare come giustificazione – siamo pur sempre la Juve – il fatto di lanciare i giovani, il progetto, eccetera. Oltretutto, due soldi, quest’anno, sono stati spesi. A differenza del suo predecessore, Motta ha la fiducia della società e tutto il necessario per poter fare bene insomma.
A meno che, non ci venga d’improvviso il dubbio che il nostro allenatore non sia come la sciora Savina del racconto "Abbaini" di Delio Tessa, che "doveva firmare una carta. La notizia corse per il corridoio. Altri usci si aprirono; si riunì finalmente il necessario, la cannuccia, il pennino… e lei confessò che non sapeva scrivere. Appose così a piè del foglio, quale assenso solenne e quasi sacro al chirografo, una croce […]".
Ecco. Una X appunto. Tanto valeva mandare in panchina Elon Musk.
la nota stonata #20