Il giocatore della Juventus Weston McKennie (foto LaPresse)

Olive s3 e16

La trottola Weston McKennie

Giovanni Battistuzzi

L'americano è da quando è piccolo che girovaga per il mondo. Lo ha fatto anche in campo, ma ora sembra aver trovato un suo equilibrio grazie a Thiago Motta che gli ha tolto qualsiasi punto di riferimento

È da almeno due anni che Weston McKennie passa l’estate a chiedersi dove andrà a vivere. Nemmeno ci fa caso l’americano. È da una vita che va così. Una volta, era il 2016, gli chiesero di dove fosse, insomma dove fosse casa sua. Lui sospirò e rispose che era complicato. Poi disse “Texas”, ma non molto sicuro che fosse la risposta corretta. Weston McKennie è da sempre che vaga per il mondo. È partito dallo stato di Washington, poi, prima di arrivare a Torino, è passato per il Texas, per Kaiserslautern (dove aveva iniziato a giocare a football americano), in Germania, per Dallas, per la Virginia, per Gelsenkirchen. Prima per seguire suo padre, ufficiale dell’aviazione americana, poi per conto proprio, per inseguire la sua passione pallonara.

  

Ha sempre inseguito qualcosa, Weston McKennie. Negli ultimi anni questo qualcosa è una palla. E a inseguire una palla ci ha sempre messo passione, dedizione, muscoli e polmoni. Non è uno che si tira indietro l’americano. Non è uno che ha la pretesa di fare di testa propria, accetta di buon grado ordini e suggerimenti, poi li interpreta a suo modo, ossia di corsa. 

  

Nelle giovanili dello Schalke 04 aveva iniziato come ala destra, poi l’avevano messo a fare il centrocampista perché correva più di tutti. Era la prima volta che Weston McKennie aveva una certezza. Lui era un centrocampista, uno di quelli che pressano e ripartono. 

  

Otto anni dopo Weston McKennie non può più dire con certezza nemmeno questo. Il “sono un centrocampista” si è trasformato in un “sono un centrocampista?”. La risposta è incerta. 

   

Il giocatore della Juventus Weston McKennie (foto LaPresse)  
     

Si è ritrovato di nuovo catapultato a Gelsenkirchen, la stagione successiva a quella nella quale aveva trovato il suo posto in una campo da gioco. Ma era quello uno Schalke 04 che aveva visto l’inizio della crisi e lui era giovane e disposto a tutto pur di giocare. Anche a giocare da difensore centrale-terzino destro-mediano-centrocampista centrale-ala destra-trequartista-seconda punta-prima punta nel giro di sei mesi. 

   

Sette anni dopo è allo stesso punto. Ma almeno è ancora a Torino, ancora alla Juventus e con un allenatore che prima non lo voleva nemmeno vedere in spogliatoio, ma con il tempo ha visto in lui una risorsa imprescindibile. Risolvendo quel dubbio che da anni lo seguiva. Perché dicevano che era un centrocampista che difendeva così e così e soprattutto sbagliava troppo spesso i tempi di inserimento; che era un mediano troppo impreciso e troppo distratto; un centrocampista offensivo troppo prevedibile e troppo indisciplinato. Insomma: che era buono a tutto e buono a niente.

    

Allenandolo, Thiago Motta ha capito che i pregiudizi su Weston McKennie erano tutti completamente sbagliati. Che lui non era né un centrocampista, né un mediano, né un centrocampista offensivo. Lui era soltanto un calciatore che sa risolvere problemi, insomma uno sul quale ci si può contare. Era quello degli anni complicati dello Schalke 04, uno che lo metti da una parte o dall’altra e fa tutto bene, ma che gli devi cambiare posizione spesso e volentieri perché non puoi fare andare dritta una trottola, vorrebbe dire snaturarla e renderla inutile.

 

E lui "trottolando", ha imparato a difendere e a essere ordinato, ha capito che stare in campo è una questione di rapporti e distanze. Indipendentemente da dove gioca.

           


      

Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.

Di più su questi argomenti: