Reginaldo Ferreira da Silva, detto Reginaldo (Ansa) 

Il Foglio sportivo

Da Reginaldo a Borja Valero, quelli che non finiscono mai

Massimo M. Veronese

Nell’era degli algoritmi, delle superleghe e delle costruzioni dal basso c’è ancora una squadra di romantici che sembra uscita dagli splendori e dalle miserie di Eduardo Galeano. Quando l’importante è giocare ancora

Nell’era degli algoritmi, delle superleghe e delle costruzioni dal basso c’è ancora una squadra di romantici che sembra uscita dagli splendori e dalle miserie di Eduardo Galeano, anche se i suoi calciatori non giocano mai assieme: il calcio, come il tango, è figlio delle periferie, scriveva il Maradona degli scrittori, ed “era uno sport che non esigeva denaro e si poteva giocare senza null’altro che la pura voglia”. L’ultimo di questi sognatori si chiama Reginaldo Ferreira da Silva, o Reginaldo e basta, noto più per i sette mesi passati con Elisabetta Canalis che per i cinque campionati disputati in Serie A tra Fiorentina, Parma e Siena. A 41 anni è tornato a giocare in Prima Categoria con il Catona, periferia nord di Reggio Calabria, e nella sua prima partita, il derby con il Gallina, è andato subito in gol. Senza esigere denaro, per pura voglia, nella periferia del calcio. Benzema, così per dire, ha solo 4 anni meno ma prende 100 milioni l’anno per giocare in un campionato di plastica, senza campi dai ciuffi disordinati e dalle zolle gelate e magari pure controvoglia. Facile scegliere per chi tifare tra i due.

Non è il solo, è solo l’ultimo. Borja Valero detto il Sindaco, che ha giocato nel Real Madrid, si è regalato un paio di stagioni al Centro Storico Lebowski, in Promozione; “È come ritornare bambino – disse – Qui ti rispettano, dicono è un piacere giocare con te, anche se poi ti entrano duro sulle caviglie”; il Profeta Hernanes, Lazio, Juventus, Inter, Brasile, ha rinnovato con il Sale, provincia di Alessandria, in Prima Categoria, a trenta chilometri dalla tenuta vinicola che gestisce con la moglie: “Educo i più giovani a dare tutto. In una partita casalinga sbagliai apposta un rigore per evitare di giocare tutta la partita in difesa. Volevo che i ragazzi tirassero fuori la grinta, lo hanno fatto e abbiamo vinto”; Maicon, dieci anni dopo il Triplete, giocò 17 partite nel Sona, Serie D, in provincia di Verona, a 77 euro a match come prevede il tetto salariale della Lega Dilettanti, lui che era uno dei giocatori più pagati dell’Inter. Suoi compagni di squadra: rappresentanti di birra, montatori di condizionatori, studenti universitari. 

E se Lele Adani ha chiuso la carriera con la Sammartinese, Seconda Categoria, Domenico Marocchino con la Valenzana, Interregionale e Francesco Flachi con la Praese, Promozione, Alessandro Matri, ex Juve e Milan, invece è stato respinto: era pronto a firmare per il Graffignana, Seconda Categoria, ma se sei iscritto come lui all’albo degli allenatori professionisti non puoi giocare. “Tornare con i miei amici d’infanzia sarebbe stato divertente – si è lamentato su Instagram – Non voglio polemizzare ma è un peccato che esista una norma del genere”. In effetti ci mancava il divieto di tornare bambini.

Alla squadra del paese ci arrivano quasi sempre perché abitano lì, per fare un favore a un vecchio amico, perché “dimostri molto meno degli anni che hai”. E perché hai ancora voglia di vivere, come diceva Nick Hornby, tanto per restare nelle citazioni, “quei pomeriggi fangosi e meravigliosamente scimuniti” delle serie minori. C’è molto Borgorosso Football Club in queste resurrezioni di provincia, c’è tanto il presidente Benito Fornaciari, cioè Alberto Sordi, che regala alla squadra “vivo, vegeto e in carne e ossa” Omar Sivori pensionato e poco importa se El Cabezon si addormenta durante una trasferta sull’autocarro per il bestiame trasformato in pullman della squadra. Il sogno comunque giustifica il sonno.  

Anche a quei tempi succedeva. Giorgio Chinaglia, a 43 anni, si presentò al campo di Villa San Sebastiano, frazione di Tagliacozzo, 727 abitanti, dove aveva casa, per giocare, il derby abruzzese di Seconda Categoria contro la Scurcola Marsicana. Segnò due delle tre reti e portò a casa il derby. A Piavon, frazione di Oderzo, Gianfranco Zigoni giocò la sua ultima partita, a 44 anni: era la sfida salvezza con il Musile di Piave, ultima di campionato, Seconda Categoria. Fini 5-4, quattro gol li segnò lui. Meno bene andò a George Best, perché anche all’estero succede: all’ultima con il Tobermore United, il paesino non arrivava ai 600 abitanti, ne prese sette dal Ballymena e retrocesse sepolto di gol. Socrates a 50 anni, barba grigia e un inizio di pancetta, si fece, si fa per dire, ingaggiare dai dilettanti inglesi del Garforth Town per giocare gli ultimi dodici minuti della sfida con il Tedcaster Albion. Disse solo: “Qui fa troppo freddo, mi è venuto persino il mal di testa”. E non si fece vedere più. 

La compagnia degli antieroi non teme il jet lag, passare dal calcio delle occupazioni degli spazi e della gestione delle seconde palle a quello dei rigori mai benedetti dal Var e delle partite risolte da un tiro di puntone in mezzo a una mischia nel fango. E fosse solo quello. Renato Cappellini, centravanti della Grande Inter, qualche sbandamento, nel tornare alle origini, al Soncino, la squadra del suo paese, lo aveva avuto: “Confesso che esordire in un oratorio dopo tanti anni di professionismo mi ha fatto un certo effetto – si lasciò scappare – Mentre giocavamo sentivo distintamente la musica che arrivava dai juke box…” Il suo compagno di squadra e di ruolo Peirò fece di più. Torno a giocare per la sua prima squadra, quella del sobborgo Pueblo Nuevo di Madrid, quarta categoria spagnola, da dove ere partito. Zero ingaggio, anzi, era lui a pagare 25 pesetas al mese per maglie, palloni, varie ed eventuali.

 

I portieri però sono i migliori anche quando cambiano mondo. Marco Ballotta si è diviso tra Calcarà Samoggia, San Cesario e Castelletto non come portiere ma attaccante: 24 gol in Prima categoria a 45 anni suonati. Lamberto Boranga invece dopo aver giocato nel Bastardo, nell’Ammeto, e nel Papiano a 75 anni firmò per un paio di stagioni con la Marottese, squadra marchigiana di terza categoria. Come si giustificò? “Il calcio è la mia vita”. Ecco spiegato tutto: il lieto fine è non finire mai. 
 

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