I capitani di Galles, Inghilterra, Francia, Irlanda, Scozia e Italia (Michele Lamaro) al Colosseo. Debutto l’1 febbraio in Scozia (foto Sei Nazioni) 

Il Foglio sportivo

Verso il Sei Nazioni. Un viaggio nel rugby che verrà

Marco Pastonesi

Si va verso un gioco più veloce e creativo, ma anche duro. Che dovrà essere sostenibile. Parlano Vittorio Munari, Andrea Di Giandomenico, Andrea Piardi, Enzo Belluardo e Andrea Duodo

"Magico” (Fabien Galthié, ct Francia). “Imprevedibile” (Warren Gatland, ct Galles). “Speciale” (Gregor Townsend, ct Scozia). “Storico” (Steve Borthwick, ct Inghiterra). “Unico” (Simon Easterby, allenatore difesa Irlanda). “Appassionante” (Gonzalo Quesada, ct Italia). Tira aria di Sei Nazioni, il torneo che spezza l’inverno e profuma di primavera. La prima partita venerdì 31 gennaio alle 21.15 con Francia-Galles. Poi sabato 1 febbraio alle 15.15 Scozia-Italia e alle 17.45 Irlanda-Inghilterra. Ma che rugby sarà? Quale rugby verrà?

   

“Il rugby della sostenibilità – spiega Vittorio Munari, che con Antonio Raimondi divide le telecronache per Eurosport e i podcast su YouTube – La sostenibilità fisica ed economica. La ricerca di un gioco sempre più veloce e spettacolare ha portato a impatti sempre più forti con conseguenze sempre più gravi. I campionati francese e inglese sono feroci, da Colosseo di duemila anni fa. Oggi un giocatore di alto livello rischia di subire 4-5 infortuni seri in carriera. Solo gli straordinari progressi dell’ortopedia consentono di farlo tornare in campo. Ma il periodo di prestazioni al massimo livello tende a ridursi sempre di più, cinque anni è un successo, in Italia tre, e se non è per la condizione fisica, può essere anche per quella mentale, dovuta a pressioni e responsabilità. Una longevità come quella di Richie McCaw, terza ala e capitano degli All Blacks con 148 partite in 15 anni, è irripetibile. Per ovviare ai troppi infortuni, alle troppe partite e ai troppi tornei si rendono necessarie squadre formate non più da 30 giocatori, ma da 45 o forse 60. E si pensa a panchine più lunghe per poter fare più cambi durante le partite. Ma tutto questo comporterà più costi, più spese, più investimenti, insomma, più soldi. E da qui l’esigenza della sostenibilità economica. Le federazioni s’indebitano, le società falliscono, i club chiudono”.

 

“È vero”, conferma Andrea Di Giandomenico, responsabile dello sviluppo di giocatori e allenatori per la Federazione italiana. “Si va verso un gioco ancora più veloce e creativo, verso giocatori polivalenti, universali, cioè capaci di giocare in diversi ruoli, soprattutto con i trequarti, fisicamente ormai simili a terze linee, meno con gli avanti, dove la specializzazione è indispensabile, soprattutto in prima linea, dove ci si consuma di più e dove il ricambio avviene sistematicamente poco dopo la metà del match. Negli ultimi tempi si è assistito a un incremento delle abilità di tecnica individuale e collettiva, a una moltiplicazione dei punti di sfida per la contesa aerea del pallone, anche a un rallentamento della velocità nella propria metà campo prima di impostare una nuova strategia di attacco”. Eppure anche le abilità individuali vengono spesso sacrificate per il peso e la potenza: “Una volta – precisa Munari – i tallonatori dovevano eccellere nel lancio in touche e nelle mischie chiuse, adesso devono essere decisivi nei punti di incontro, cioè nella conquista dei palloni a terra”.

 

Un aiuto viene dalle regole. Andrea Piardi, l’arbitro italiano più internazionale (al Sei Nazioni farà l’assistente in Francia Galles e Inghilterra-Francia, l’8 marzo dirigerà Scozia-Galles): “Gli estremismi del gioco spingono a creare nuove regole che li limitino o cancellino. Ma è il gioco stesso a cercare nuove soluzioni per aggirare le regole. Si va verso un gioco più continuo, cioè con meno interruzioni e meno soste, e anche più semplice e comprensibile, e sempre più attento a punire la violenza, per esempio nei placcaggi scomposti, e a salvaguardare l’incolumità, per esempio nelle concussioni”. Anche qui Munari obietta: “Mai come adesso l’operato arbitrale è così criticato. Un po’ perché tutti si sentono in diritto di pontificare, un po’ perché le azioni sono così rapide e le regole così ricche di corollari ed eccezioni, che per uno stesso caso gli arbitri sembrano interpretare e decidere in modi diversi”.

 

Ma il rugby che verrà, per Enzo Belluardo, uno studioso dell’ovale internazionale, “sarà sempre più diffuso, dallo Sri Lanka all’India, dalla Colombia agli Stati Uniti che si sono impadroniti della Coppa del mondo uomini del 2013 e donne del 2033”. Il rugby che verrà, per Andrea Duodo, presidente della Federazione italiana, “dovrà essere sostenibile, una necessità per tutti: ridurre gli sprechi, accrescere gli investimenti in professionalità, competenze e strumenti funzionali all’accrescimento generale del sistema. Dovrà essere unito: le scelte di chi ha governato nell’ultimo quadriennio hanno diviso il nostro mondo, lavorando tutti assieme. E dovrà essere inclusivo: a ogni livello, questo sport ha doti formative uniche, ogni giorno, dentro e fuori da un campo con i pali a H”.
 

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