Mikaela Shiffrin (foto Ap, via LaPresse)  

Mikaela Shiffrin e la difficoltà di ammettere di avere paura

Furio Zara

La campionessa dello sci ha rinunciato alla gara di Gigante ai Mondiali di sci di Saalbach perché non ha ancora superato a livello mentale il trauma del suo ultimo infortunio a Killington. Non è la prima, non sarà l'ultima. Quando la paura ferma i campioni

A fine ottobre del 1976, all’ultima gara di Formula 1 in Giappone, Niki Lauda si presentò bendato come una mummia risorta. Era risorto davvero, dopo il terribile incidente a Nürburgring in cui - ad agosto - aveva rischiato la vita. Come un cavaliere dell’Apocalisse aveva attraversato il fuoco e ne era uscito vivo. Quarantadue giorni dopo l’incidente, sfigurato nel volto e nell’anima, era tornato a correre al Gp di Monza. Tutto sembrava essere tornato come prima. Anzi no. La corsa al titolo era ripresa, ma si rivelò un’illusione. Quando quel giorno, sul circuito del Fuji, si infilò nell’abitacolo della Ferrari; Niki trovò una compagna non prevista. Tra la brace dei ricordi, oltre il fuoco che ancora bruciava nei suoi incubi, se ne stava acquattata la Paura, il fantasma di Nürburgring ballava tra la pioggia battente. Lauda finì la sua corsa dopo soli due giri. Parcheggiò la Ferrari - sì, la parcheggiò come si parcheggia un auto la domenica pomeriggio in centro - scese e ammise: “Ho avuto paura”. Il Mondiale lo vinse Hunt, di un solo punto. Lauda all’epoca aveva 27 anni, un paio di vite alle spalle e molto, molto ancora da correre.

   

Mikaela Shiffrin ha rinunciato alla gara di Gigante ai Mondiali di sci di Saalbach perché non ha ancora superato a livello mentale il trauma del suo ultimo infortunio a Killington, negli Stati Uniti, due mesi fa. A volte succede agli sportivi, anche agli dei dello sport - lei come Niki Lauda, come Simone Biles come Federica Pellegrini come Jorge Lorenzo come tanti altri - e riannoda il filo di quel fragile equilibrio che si dipana tra l’ambizione, la voglia di dimostrare a sé stessi che nulla potrà fermarci, la constatazione che non è così, la certezza che il dolore rievocato lascia per sempre nel cuore una rigatura di angoscia.

   

“Ho paura, ed è straziante”, ha detto la sciatrice più forte di tutti i tempi. Se questo fosse un film di Paolo Sorrentino ora arriverebbe qualche saggio a urlare “Mikaela, non ti disunire”; ma lo sport racconta altre storie e altre battaglie.

   

Simone Biles - lo ricorderete - ai Giochi di Tokyo 2021 si perse, staccò l’ombra da terra in uno dei suoi favolosi esercizi e non atterrò più. L’ansia, gli attacchi di panico. La fragilità dei muscoli e della mente. I famosi “Twisties”. L’equilibrio che viene a mancare improvvisamente, la sensazione di essere ovunque, o da nessuna parte. Chi sono. Dove sto andando. Può capitare ovunque e a chiunque: al cancelletto prima della discesa, al bang dello starter prima della fuga in avanti - per informazioni chiedere a Noah Lyles, il campione olimpico dei 100 metri piani che qualche tempo fa raccontò di “sentirsi in gabbia ogni volta che affrontava la gara” - nella solitudine che da sempre grava sui portieri, incorniciati nella porta da calcio e scontornati dalla paura che li attanaglia. Nel 2023, in una partita di Champions League, il portiere della Juventus Wojciech Szczesny sentì un dolore al petto, le gambe che tremavano, l’aria mancargli, l’ansia a sfilargli il fiato. Chiese la sostituzione. “Ho avuto paura di morire”, raccontò quando - superato il trauma - tornò a vivere. Gli esami medici non riscontrarono alcuna anomalia. Era tutto a posto. La Paura sa nascondersi bene, quando vuole.