Elia Viviani alle Olimpiadi di Parigi 2024 (foto LaPresse)

a Zolder

Un altro giro di velodromo per Elia Viviani

Giovanni Battistuzzi

Torna in pista agli Europei di ciclismo su pista il corridore veronese, probabilmente alla sua ultima grande manifestazione sportiva in bicicletta. Se non ci fosse stato lui probabilmente l'Italia non avrebbe gioito come ha gioito nei velodromi

Quasi quindici anni fa, quando tra il 5 e il 7 novembre 2010 si disputarono i primi Campionati europei di ciclismo su pista della storia, l’Italia non esisteva. A quella manifestazione parteciparono quattordici azzurri, cinque donne e nove uomini. La Nazionale non portò a casa nessuna medaglia, nemmeno ci andò vicino. Eppure, proprio in quei tre giorni qualcosa stava cambiando. Non a livello federale, non a livello di programmazione o nuove idee per rilanciare una disciplina che aveva regalato tante soddisfazioni al nostro ciclismo, ma che esisteva ormai solo al femminile grazie all’impegno e alla testardaggine di Vera Carrara, Elena Frisoni e Giorgia Bronzini. 

     

Quello che era cambiato, che stava cambiando, è che a quegli Europei, un ragazzo al primo anno tra i professionisti della strada e un gran futuro nelle volate, aveva capito che senza le gare in un velodromo non poteva stare. Elia Viviani decise che la sua vita ciclistica non poteva non prevedere la pista e iniziò a intestardirsi al punto che qualcuno iniziò a seguirlo. 

          

All’epoca il ciclismo su pista italiano era scomparso, sembrava finito. Gli anni Novanta si erano chiusi con il bronzo nell’Inseguimento individuale ai Mondiali di Berlino 1999 di Mauro Trentini, ultimo respiro di un movimento che era già in stato comatoso. Silvio Martinello era agli ultimi anni di una carriera eccezionale, Marco Villa e Andrea Collinelli pure, di velodromi coperti con pista di 250 metri, quella buona per le competizioni internazionali, non ce ne erano e tutto sembrava andato a scatafascio. Poi aprirono quello di Montichiari nel 2009 ed Elia Viviani decise di dimostrare a tutti che gli investimenti servono. Sono capaci di stimolare sogni. 

 

I sogni di Elia Viviani giravano veloci su di una bicicletta a scatto fisso. Ed erano contagiosi. A tal punto contagiosi che a un certo punto, nel 2011, il presidente federale di allora (a lungo dopo), Renato Di Rocco decise di dare a un altro entusiasta dei velodromi la guida della Nazionale di ciclismo su pista. Marco Villa si trovò al centro del niente, con pochi soldi a disposizione e un ragazzo che aveva un amore talmente grande per la pista che era disposto a fare di tutto, pure in perdita, per provare a ridare all’Italia un posto nell’albo d’oro maschile internazionale. 

 

Elia Viviani, quasi quindici anni dopo quel giorno, è agli ultimi giri di pista in un velodromo. Oggi nel nuovissimo velodromo di Heusden-Zolder iniziano i suoi (probabilmente) ultimi Europei di ciclismo su pista

 

Può ripensare al passato con un certa soddisfazione. E non per le tre medaglie olimpiche che si è portato a casa (oro nell’Omnium a Rio 2016, bronzo nell’Omnium a Tokyo 2020, argento a Parigi 2024 nell’Americana con Simone Consonni). E nemmeno per le otto medaglie ai Mondiali (due ori, tre argenti, tre bronzi), o per le dodici agli Europei. Le medaglie si mettono al collo e si appendono a casa. Elia Viviani può ripensare al passato con un certa soddisfazione perché è stato il motore, molto mobile e veloce, di un movimento che attorno a lui si è compattato, per poi ritornare a esaltarsi ed esaltare gli appassionati. 

   

 Elia Viviani (foto LaPresse)  
                   

Quella di Elia Viviani per i velodromi è stata, è, una passione talmente grande e contagiosa da aver spinto molte delle gambe migliori delle nostre generazioni ad amare la pista tanto quanto la strada.  

   

Grazie al suo esempio Filippo Ganna non è stato a sentire tutti i sotuttoio che gli dicevano di scegliere tra bicicletta da corsa e bicicletta a scatto fisso e si è regalato un Record dell’ora che non si vedeva da Francesco Moser nel nostro paese, e vittorie europee, mondiali e olimpiche nell’Inseguimento. 

    

    

Grazie al suo esempio molti altri hanno fatto lo stesso. E l’Italia si trova a salutare un campione con la certezza che dopo di lui qualcuno arriverà. Non era scontato. Anzi, quindici anni fa tutto questo sembrava impossibile. 

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