Davide Ghiotto (Ansa) 

Il Foglio sportivo

Davide Ghiotto e la filosofia del ghiaccio

Francesco Gottardi

L’uomo più veloce del mondo non ha segreti, ma un credo: “Pattinare è costanza e fatica”. Il documento eredità di van der Poel come ispirazione dei campioni del futuro gli ha fatto capire che non esistono scorciatoie per raggiungere i risultati

Gli ultimi metri sono scivolati leggeri, col sorriso sornione di chi sa di averla combinata grossa. “Avevo un buon margine di vantaggio, me la sono goduta. Più che gioia, serenità: vuol dire che il lavoro di questi anni è stato corretto”. Davide Ghiotto non parla da un altro pianeta, come si potrebbe pensare del più veloce pattinatore al mondo – fresco di record assoluto nei 10mila. “Un buon risultato”, lo chiama lui. Tempo: 12’25”70. Sbriciolato di oltre cinque secondi il precedente primato dello svedese Nils van der Poel, leggenda della categoria. “Come ci si sente? Normali, direi. Quello stesso giorno, prima di scendere in pista, la mia preoccupazione non era se farcela o meno. Semmai mi domandavo questo: domani, io, che tipo di allenamento faccio?”.


È così che si diventa i numeri uno. “Fatica, costanza e voglia di migliorarsi sempre”, racconta. “Vivo un bel periodo, sto raccogliendo molto nei 10mila metri”, tricampione mondiale e bronzo a Pechino 2022. “Ma nei 5mila, purtroppo, non riesco ancora a essere così sicuro della vittoria”. ‘Soltanto’ due argenti iridati nell’ultimo biennio. Mica ingordigia. “Diciamo che i prossimi mesi di preparazione si prospettano stimolanti: ci sono ancora tante competizioni prima di Milano-Cortina. Nello sport un anno può essere una vita. Inutile nascondersi, però: le Olimpiadi in casa sono una grande responsabilità”. Figurarsi per un vicentino, a metà strada fra le due sedi. “L’obiettivo è arrivarci ancora più forti. Ma avere quasi 32 anni, di cui 12-13 da professionista, mi dà la tranquillità per saper gestire anche queste situazioni di stress. Il mio fisico risponde, ho la mente libera. Sto bene”. Agonismo zen.


Torniamo per un attimo al capolavoro di Calgary, 25 gennaio scorso. “Il piano di gara era svolgere quei 25 giri in tabella record del mondo”, spiega l’Azzurro. “Il nostro è uno sport semplice, cronometrico: se rispettiamo il ritmo prefissato, il tempo finale è quasi matematico. Non ci sono grandi sorprese”. Eppure gli imprevisti sono dietro l’angolo. “Bastano un paio di giri sottotono e rischia di sfumare una prestazione perfetta. Ma a 5-6 dal traguardo, il mio allenatore a bordo pista mi aveva comunicato la proiezione che stavo tenendo: circa 12’26”. E Ghiotto fila come un orologio. “Sono sempre stato un pattinatore molto regolare. Lì ho capito di essere parecchio sotto la soglia del primato: mi è servito per rilassarmi e assaporare ogni momento di quel tragitto, senza lanciare le mie forze allo stremo. Fisicamente ero sul pezzo, quando ho sentito la campanella dell’ultimo giro mi sono lasciato andare”. La smorfia del successo. Sono arrivati i complimenti dell’olimpionico van der Poel, al passaggio di consegne? “Anche di più. Già prima della partenza mi aveva mandato gli auguri. Poi un messaggio appena centrato il record. Non le solite parole di circostanza: “Quando fai qualcosa di positivo, sei in pace con te stesso e qualcuno te lo porta via – mi ha scritto –, devi rallegrartene perché quella cosa sarà in buone mani”. Un piacere speciale: lui è sempre stato un personaggio atipico, ma molto umile e propenso verso gli altri. E per me un esempio”.


Dell’eredità di van der Poel – una saetta nel pattinaggio su pista lunga, ritiratosi nemmeno 26enne dopo Pechino 2022 – resta soprattutto un documento: 62 pagine di vademecum sulla disciplina, per ispirare i campioni del futuro. “L’ho letto e commentato insieme a colleghi e allenatori”, dice Ghiotto. “Rappresenta un punto di arrivo e di partenza: Nils ha chiuso la sua carriera mostrando com’è arrivato a quei risultati. La cosa sconvolgente, in quel suo manifesto, non è tanto la mole di lavoro descritta – la facciamo tutti: 30-35 ore settimanali – ma il suo pensiero sull’approccio alla pista. E cioè, non esiste alcun segreto dietro i record del mondo. Perché in questo sport nessuno si inventa nulla: dal punto di vista tecnico è banale, senza salite, discese o varietà di tracciato come il ciclismo. Bisogna solo correre su un circuito ovale e allenarsi senza tregua sui tempi di gara, spingendosi oltre il proprio limite per trasmettere l’energia giusta alle lame. È un concetto semplicistico, ma non sempre scontato: noi atleti siamo abituati alla fatica, eppure tentiamo comunque di risparmiarcela. Nils allora ci dice: scordatevi le scorciatoie. Lui ci è riuscito”.


Davide pure. “Ho sempre detto che prima o poi avrei scritto qualcosa del genere anch’io. Si scherza, eh”. Titolo? “Lo prendo in prestito da Schopenhauer: ‘Il mondo come volontà e rappresentazione’. Avete presente l’immagine del pendolo? Penso che un po’ tutto lo sport sia così: viviamo momenti di estrema tristezza e difficoltà, intervallati da grandi picchi di gioia molto fugace”. Il campione è pur sempre laureato in filosofia. “Le vittorie sono minime rispetto alla mole di lavoro di un’intera carriera. Quindi benissimo il record, ma dal giorno dopo si torna a pedalare”. Letteralmente. “Gran parte dei miei allenamenti prevede l’utilizzo della bici, che mi diverte perfino più dei pattini: evidentemente qualcosa avrò ereditato”. Papà Federico è un ex ciclista su strada, con quattro partecipazioni al Giro d’Italia. “Sembra incredibile, ma non siamo mai riusciti a condividere questa passione: una volta smesso lui non ha più toccato le due ruote. Che tuttavia a casa sono sempre state una religione. Ricordo che la domenica da bambino non potevo guardare i cartoni perché papà doveva seguire il Giro in tv. Ma da buon sportivo qual era, non mi ha mai obbligato a seguire le sue orme: “Vai, divertiti, fai quello che vuoi”, mi diceva”. E così Ghiotto junior ha fatto. “Questa mentalità mi ha permesso di crescere e trovare la mia strada. Senza che mancasse il supporto di papà: quando iniziai pattinando a rotelle, nel settore giovanile, lui mi ha portato su tutte le piste d’Europa pur di permettermi di gareggiare. Guidava tutta la notte per me. E non ero mica il ragazzino che faceva incetta di medaglie”, sorpresa. La lezione era un’altra. “Il senso del sacrificio, della persistenza. Scoprire cosa c’è dietro i risultati che si raggiungono. Nella vita niente è regalato: occorre darsi da fare. Senza dimenticare di divertirsi”. Fino all’ultima lastra di ghiaccio.
 

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