(Ansa) 

Il foglio sportivo

Perché i portieri commettono sempre più errori

Fulvio Paglialunga

Lo racconta il Times e lo spiegano gli scienziati di Dublino. Oggi il portiere gioca, contribuisce a far girare la palla ed è aumentato il pressing. Proprio per questo "vengono fuori portieri più poliedrici, ma con meno tecnica" dice Marchegiani

Aiuto, i portieri sbagliano. Lo fanno da sempre, ovvio, ma ora un po’ di più. Non è colpa loro, è solo cambiato il calcio. Loro ne sono vittime. Ecco, aveva ragione Eduardo Galeano, che dell’ultimo dei difensori aveva una visione malinconica (“Senza muoversi dalla porta attende in solitudine, tra i tre pali, la sua fucilazione”), quando scriveva della condanna di chi riveste questo ruolo: “Gli altri giocatori possono sbagliarsi di brutto una volta o anche più, ma si riscattano con una finta spettacolare un passaggio magistrale, un tiro a colpo sicuro: lui no. La folla non perdona il portiere”.

Che accade, quindi? Accade che gli inglesi si sono insospettiti: un paio di partite di fila con errori dei portieri e allora mano alle statistiche per arrivare alla conclusione; ora sbagliano con più frequenza. Il dato – elaborato dal Times – dei loro errori che hanno portato a tiri in porta è raddoppiato (0,15 ogni 90 minuti, contro 0,08 di un anno fa), quello degli errori che hanno portato a gol subiti è aumentato sensibilmente (0,07 a partita, tre anni fa era meno della metà). “Il portiere ha sempre la colpa. E se non ce l’ha la paga lo stesso”, scriveva Galeano e non sapeva che sarebbe andata peggio, che poi avrebbe avuta la sua colpa in modo molto più diretto. Il lento cambiamento del ruolo e poi delle tattiche ha infatti ormai portato il portiere a essere più dentro l’azione, meno abbandonato, più coinvolto nel gioco con i piedi, lontano dai tempi in cui Brera scriveva che chi gioca in porta “non si serve dei piedi se non per effettuare la rimessa in gioco della palla uscita dal fondo, oppure per disperazione, quando non avrebbe altro modo di respingere”.


Ora il portiere gioca, al punto che qualcuno suggerisce di contarlo nel modulo (1-4-4-2, ad esempio), perché contribuisce a far girare la palla, riceve passaggi delicati quando la manovra d’attacco è intasata nel traffico e bisogna ricominciare. In più, è aumentato il pressing, conseguenza di un continuo sviluppo della fisicità del gioco: è un movimento continuo all’assalto della palla, un corsa al possesso che coinvolge più calciatori, comincia prima, toglie il fiato mentre contemporaneamente diventa ormai comune la costruzione dal basso, la manovra che comincia dalle retrovie e che, quindi, chiede al portiere di essere qualcosa di vicino a quello che una volta era il libero. Aumentano le pressioni, aumentano le possibilità di errore.

È una lunga evoluzione che comincia nel 1992, con l’eliminazione della possibilità di prendere con le mani un retropassaggio e arriva fino a oggi, con la media di 42 palloni giocati a partita per i portieri della Premier League di questa stagione (nel 2018/19 erano 36, poi l’impennata) e pochissimi lanci lunghi, quasi tutti sono palloni da rigiocare, tocchi corti, per i quali serve più qualità. Tutto cambia, è inevitabile: il calcio va visto con occhi nuovi e anche il portiere non è più quello di una volta. “Adesso – spiega Luca Marchegiani, da portiere vicecampione del mondo nel 1994 e ora volto di Sky Sport – c’è un maggiore coinvolgimento di chi gioca in quel ruolo. E più sei coinvolto più sei esposto all’errore. Dover giocare molto più spesso il pallone, però, non è una difficoltà dal punto di vista tecnico, non è nella qualità del passaggio che nasce l’errore. Questa è una percezione sbagliata: l’errore nella quasi totalità dei casi è di scelta. Non è un passaggio fatto male, ma indirizzato nella zona sbagliata, a un compagno non smarcato.

Questo fa la differenza, ora, tra un portiere bravo e uno meno bravo, tra chi può partecipare, ad esempio, alla costruzione dal basso e chi no. Perché non tutti possono fare tutto. Anche non tutti gli allenatori possono prevedere la costruzione dal basso, tanto più ora che c’è un utilizzo esasperato, se non hanno un’organizzazione che regge, calciatori che si liberano nel momento giusto, posizioni in campo che la consentano senza esporre all’errore”.
Uno studio dei ricercatori della Dublin City university e dell’University College Dublin un anno fa ha sentenziato: i portieri sono diversi dagli altri calciatori, percepiscono prima i segnali che arrivano da sensi diversi, hanno praticamente un cervello più veloce, in questo campo, degli altri.

Ma adeguarsi anche al nuovo calcio non è facile nemmeno per loro. O meglio: dice Marchegiani che quello che apprendono da un lato rischiano di perderlo dall’altro: “C’è un aspetto che va tenuto in considerazione: ora il portiere deve saper fare molte più cose, deve lavorare anche sulla tecnica con i piedi, che una volta non importava. E questo toglie tempo all’addestramento tipico del ruolo. Per questo vengono fuori portieri più poliedrici, ma con una tecnica di parata più approssimativa”. Oppure nascono nuove tendenze, sempre più pericolose per il portiere. Chiunque abbia giocato tra i pali, anche per strada, ha sempre saputo che il portiere doveva passarla a lato, per ridurre gli effetti di un potenziale errore. 


Un dettagliato lavoro di match analysis di The Athletic di dicembre ha mostrato come, con quasi tutte le squadre che cominciano a giocare dalla difesa e tutte le contromosse quasi meccaniche degli avversari, sia stato sdoganato il passaggio centrale, dritto al compagno che sta davanti. Proprio quello che ti insegnavano a evitare, perché il più pericoloso di tutti. Se sbagli l’appoggio verso quella direzione o il compagno perde la palla mentre è fronte alla porta, è una condanna: “A noi – racconta Marchegiani – dicevano addirittura che se la palla arrivava da una parte bisognava passarla dall’altra, perché c’era di sicuro meno gente. Ma soprattutto mai andava data al centro, nemmeno con le mani. Ora invece accade questo, è vero. E quindi aumentano i rischi”. Paga sempre il portiere, ci aveva avvertito Galeano.
 

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