(Ansa)

Il Foglio sportivo

Di chi è la colpa dell'Euro flop

Marco Gaetani

La caccia ai responsabili nasconde le grandi colpe del nostro calcio. Ademola Lookman il responsabile dell'eliminazione dell'Atalanta, gli errori di Thiago Motta con Thuram in panchina e Koopmeiners in campo. Sopravvalutata la striscia di successi in campionato 

Non l’abbiamo vista arrivare, questa slavina che ha travolto il nostro calcio in Champions League. Tutti troppo presi a tirare sospiri di sollievo per il derby italiano evitato, Milan e Juventus sapientemente divise dal sorteggio, l’Atalanta a farsi bella della sua League Phase chiusa alle porte della Top 8: questo turno extra sembrava solamente una scocciatura per le due partite in più da mettere sul tassametro. Era una tagliola, invece, ben nascosta tra i fili d’erba, e ha lasciato cicatrici profonde. Persino le due sconfitte dell’andata, quelle di Milan e Atalanta, erano state accolte con sostanziale indifferenza. I rossoneri hanno individuato il capro espiatorio senza fatica. Un fallo sciocco, una simulazione insensata, due gialli leggeri nella loro essenza e pesanti come macigni. La squadra di Conceiçao stava dominando e nulla, prima del rosso a Theo Hernandez, faceva pensare al tracollo. Ma il calcio è lo sport del demonio, vive di attimi, di dettagli. A prescindere dall’inferiorità numerica, resta inconcepibile il modo in cui il Milan ha preso il gol dell’eliminazione, un cross leggibile a difesa schierata, un colpo di testa tra centrale (Pavlovic) e terzino (Bartesaghi). 


Nessuno avrebbe pensato di dover indicare in Ademola Lookman il responsabile dell’eliminazione dell’Atalanta: assente all’andata, in campo nel ritorno a discorsi già compromessi. Col suo ingresso, la sua scossa, il gol immediato, aveva anzi dato speranza a una Dea appannata, sbiadita e distratta, che dal Belgio era tornata con i nervi a fior di pelle per un rigore incomprensibile: anche quello, come la follia di Theo, un alibi perfetto. Mentre a San Siro regnava ancora lo sgomento post Feyenoord, i tifosi dell’Atalanta assistevano esterrefatti al vantaggio del Bruges. Anche per questo, le parole di Gian Piero Gasperini a fine partita fanno pensare che possa esserci sotto un malcontento che va ben oltre il rigore fallito da Lookman sull’1-3. Una presa di posizione così forte da aver scatenato la risposta in pubblica piazza del nigeriano, sbigottito e offeso per un attacco la cui portata è parsa dal primo momento fuori scala. Ora l’Atalanta dovrà raccogliere i cocci e concentrarsi sull’ultimo obiettivo rimasto: la distanza dalle inseguitrici (al momento a ridosso delle prime quattro c’è la Lazio, appaiata alla Juve a quota 46) è la stessa che separa i nerazzurri dal primo posto del Napoli. Di qua -5, di là +5: sarà l’Atalanta a decidere cosa fare da grande.


Infine, la sconcertante Juventus, l’unica a partire da situazione di vantaggio. I bianconeri si sono fatti prendere a pallonate dal Psv, Thiago Motta ha sbagliato praticamente tutto quello che si poteva sbagliare: perché questo Thuram in panchina? O questo Koopmeiners, persino febbricitante, in campo? Perché rinunciare all’elettricità di Conceiçao lasciando dentro il fantasma di Gonzalez? E perché accantonare per tutti i supplementari Kolo Muani invece di proporlo in tandem con Vlahovic? Ad aprire e chiudere il conto di una notte da incubo, due ex “italiani” dal profilo molto distante: i 36 anni di un inesauribile Ivan Perisic e i 22 di Ryan Flamingo, ex prodigio ai tempi della Primavera del Sassuolo, il killer imprevisto. È stata sopravvalutata, forse, la striscia di successi in campionato: tra Como e Inter, la Juve aveva sbandato parecchio prima di trovarsi coi tre punti in tasca. E così sono bastate, tra il calcio d’inizio di San Siro e il triplice fischio di Eindhoven, all’incirca 29 ore per spazzare via mesi di partite, di progetti, sogni e ambizioni. Una slavina arrivata mentre si guardava altrove.

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